Il rilascio del generale libico Njeem Osama Almasri da parte del governo italiano non è stato un errore e non è stato un caso. L’uomo, già comandante della polizia giudiziaria libica, è accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale (Cpi).
Chi è Almasri: il simbolo oscuro degli accordi tra Italia e Libia
Ma chi è Almasri? Non è solo un alto ufficiale di polizia libico, ma anche il simbolo di un sistema di violenze ignorato dagli accordi stretti negli anni tra Italia e Libia. La sua figura emerge già dai rapporti delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani, che lo descrivono come uno dei principali responsabili dei centri di detenzione in Libia, dove migliaia di persone migranti sono state sottoposte a torture, stupri e lavori forzati. Almasri, accusato di omicidi e riduzione in schiavitù, è stato per anni il garante di un sistema che ha trasformato i trafficanti di esseri umani in interlocutori dello Stato italiano.
Arrestato a Torino su mandato della Cpi, Almasri rappresenta il legame oscuro tra i finanziamenti europei e la gestione dei flussi migratori. Gestisce il lager di Mitiga, noto per essere una delle strutture più brutali della Libia, e supervisiona le operazioni militari dell’aeroporto omonimo, punto nevralgico per il controllo delle partenze verso l’Italia. Almasri è l’ uomo che conosce ogni dettaglio degli accordi tra Roma e Tripoli, comprese le trattative segrete che hanno trasformato la Libia in un argine violento contro le migrazioni.
Un’occasione mancata: la condotta del governo italiano
Dietro al velo delle scuse e dei cavilli che ne avrebbero determinato il rilascio, restano i fatti. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha lasciato passare oltre 24 ore prima di rispondere alle richieste della Corte d’Appello di Roma, mentre al Viminale si firmava il decreto di espulsione e si preparava un aereo per riportare Almasri a Tripoli. Mentre si dichiarava ufficialmente di voler valutare un’interlocuzione con la procura generale, il piano di rimpatrio era già operativo. La realtà è che, con un semplice documento, il ministro avrebbe potuto mantenere Almasri in custodia. Sarebbe bastato trasmettere alla Corte d’Appello di Roma una richiesta formale di esecuzione delle misure previste dai trattati internazionali, ai sensi della legge 237/2012, garantendo così il rispetto delle procedure richieste dalla Corte penale internazionale. Secondo fonti della Cpi, “l’Italia ha cercato un cavillo per evitare la collaborazione che era tenuta a dare”.
È sufficiente osservare la scena dell’arrivo di Almasri all’aeroporto di Mitiga per cogliere la portata della decisione politica. Acclamato come un eroe nazionale, il generale è diventato il simbolo di una gestione dei rapporti con la Libia che è tanto opaca quanto compromettente. I video che lo ritraggono mentre scende dall’aereo, con un sorriso soddisfatto e una folla festante ad accoglierlo, sono stati rilanciati dai profili ufficiali delle autorità libiche e sono un segnale inequivocabile: meglio un alleato scomodo che rischiare di esporre i nervi scoperti di un sistema che scambia il silenzio sui diritti umani con un controllo apparente delle migrazioni.
La Corte penale internazionale ha già definito la postura italiana come un’inadempienza grave dei propri doveri di cooperazione. Questo atteggiamento mina la credibilità internazionale dell’Italia e getta un’ombra sinistra sul rispetto delle convenzioni che il nostro Paese ha sottoscritto. Perché ignorare la richiesta di un’istituzione come la Cpi, che aveva già segnalato il problema al governo tramite l’ambasciata? Perché sacrificare la giustizia internazionale sull’altare della realpolitik?
Gli accordi tra Italia e Libia dietro il caso Almasri
La risposta è nelle relazioni tra Italia e Libia, che da anni si reggono su una rete di compromessi per mantenere sotto controllo le migrazioni e che ora, anche il governo Meloni ha scelto di assecondare.
Mentre i video del rientro di Almasri spopolano sui social libici con messaggi di derisione verso l’Italia, il governo resta in silenzio. Nessuna spiegazione convincente, nessuna assunzione di responsabilità. Nordio si è limitato a vaghe promesse di verifica, e la premier Meloni ha preferito postare immagini dei suoi incontri internazionali, ignorando il peso di questa decisione.
La vicenda Almasri non è un incidente, è una dichiarazione d’intenti. Dietro alle scuse accampate, c’è una strategia che antepone la propaganda politica alla giustizia internazionale, la convenienza immediata ai valori fondamentali. E l’Italia, così, perde un altro pezzo della sua credibilità.