Donald inaugura il nuovo corso e fa felici i signori delle armi

Trump promette di tagliare gli aiuti a Kiev, ma i produttori d’armi (specie quelli Ue) festeggiano: più instabilità uguale più profitti

Donald inaugura il nuovo corso e fa felici i signori delle armi

La guerra è un affare, e in questo caso un affare che si veste di nostalgia. Donald Trump, l’eterno candidato della retorica incendiaria, torna a occupare le pagine della politica internazionale con una promessa che suona come un brindisi nelle sale dei produttori d’armi: “Basta aiuti a Kiev“. Un annuncio che riempie di gioia non solo i falchi del trumpismo ma anche chi, dalla produzione di missili agli armamenti pesanti, sa trasformare l’incertezza in profitti stellari.

L’ironia è feroce: Trump, che si presenta come l’outsider pronto a sradicare gli interessi dei potenti, si rivela l’amico più affidabile per un settore che prospera sulla destabilizzazione. Il mercato delle armi, alimentato dalla crisi in Ucraina, è diventato un pilastro dell’economia per molti Paesi, soprattutto in Europa. Secondo i dati riportati da Politico, la promessa di un taglio agli aiuti statunitensi a Kiev apre scenari ben definiti: meno risorse americane significano più spazio per l’industria bellica europea. La guerra come opportunità, insomma, con Trump a fare da acceleratore.

Una guerra che cambia mercato

Il conflitto in Ucraina non è solo una tragedia umanitaria: è un volano per l’industria delle armi. Mentre i governi europei si affrettano a potenziare le proprie difese, temendo l’allargarsi del conflitto, i produttori di armamenti registrano bilanci in costante crescita. La Germania, ad esempio, ha varato un piano da 100 miliardi di euro per il riarmo. La Francia, dal canto suo, ha aumentato il budget per la difesa del 40% rispetto al periodo pre-bellico. I produttori di armi si sfregano le mani. Con l’ipotesi di un taglio agli aiuti americani, questi colossi si trovano nella posizione perfetta per colmare il vuoto.

E qui il paradosso: mentre si professa paladino del “prima gli americani”, Trump favorisce indirettamente una maggiore dipendenza europea dalle forniture locali. Non si tratta solo di denaro ma di un cambio di equilibri che potrebbe spingere i governi europei a un’autonomia che, sotto sotto, i produttori d’armi aspettano da anni. Gli alleati d’oltreoceano non sono solo indispensabili, sono anche concorrenti. E Trump potrebbe consegnare loro la scacchiera.

Il business dell’instabilità

La corsa agli armamenti non è mai stata tanto rapida. Lo dimostrano i dati: tra il 2021 e il 2023, gli ordini di armi in Europa sono aumentati del 93%, il più alto incremento dagli anni ’80. L’Ucraina ha bisogno di sistemi avanzati, ma non è solo Kiev a guidare la domanda. Polonia, Paesi baltici e persino Svezia e Finlandia stanno trasformandosi in nuovi hub militari. Trump, con il suo “America First”, non fa altro che alimentare il bisogno di armi e la paura dell’abbandono, trasformando ogni mossa in un moltiplicatore per l’industria.

È qui che si consuma il grande bluff. Gli stessi produttori che oggi sorridono alle dichiarazioni di Trump sanno che la sua politica non porta stabilità ma incertezza. Un’America meno presente significa più spese europee ma anche un mondo più instabile, il brodo primordiale per nuovi conflitti. E loro saranno sempre pronti a fornire le armi necessarie.

Chi paga il prezzo?

Mentre gli azionisti festeggiano e le borse registrano picchi record, la domanda resta la stessa: a quale costo? Chi pagherà per questo festino bellico? Non certo i produttori d’armi, che prosperano sia in tempo di guerra che in tempo di pace armata. Saranno le persone comuni, quelle stesse che vedono i loro governi destinare fondi sempre più consistenti alla difesa mentre sanità e welfare vengono lasciati indietro. Saranno i civili di Kiev, Mariupol o Kharkiv, che pagano il prezzo più alto in vite umane.

Trump, il miglior amico dell’industria bellica

La retorica di Trump è un’arma a doppio taglio, e i produttori d’armi lo sanno bene. Più incertezza significa più domanda. Più paura significa più contratti. Che l’industria bellica festeggi per il ritorno di Trump è il segreto peggio custodito di questa nuova stagione politica. Ma è anche la dimostrazione di come la politica, quando piegata agli interessi di pochi, non sia altro che un mercato. E a questo mercato, il prezzo lo paga sempre qualcun altro.