61.852 detenuti. 46.839 posti disponibili. La capienza regolamentare sarebbe di 51.312, ma quasi 5.000 spazi sono inagibili. Il sovraffollamento medio nelle carceri italiane è al 132%. A Milano San Vittore il tasso arriva al 218%, un record. In 148 carceri su 200 il sovraffollamento supera i limiti previsti. In 59 strutture tocca o supera il 150%.
Il problema è generalizzato. In Puglia il sovraffollamento è al 171%, in Lombardia al 151%, in Lazio al 146%. Solo Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige sono sotto la soglia regolamentare, ma la prossimità ai familiari impedisce trasferimenti.
23.461 detenuti hanno una pena residua inferiore a 3 anni. Di questi, 19.592 potrebbero accedere a misure alternative, ma non succede. Tra loro, 8.443 hanno pene inflitte inferiori a 3 anni. Nonostante il sovraffollamento, il sistema penale non interviene. Celle chiuse, sezioni inutilizzabili, strutture inadeguate completano un quadro di abbandono.
Secondo il Garante delle persone private della libertà, serve un piano nazionale per l’edilizia penitenziaria. Nulla è stato fatto. La recidiva rimane alta, la rieducazione fallisce. L’Italia ignora i suoi 61.852 detenuti, condannandoli a un sistema che non protegge e non reintegra. I numeri gridano, ma il silenzio delle istituzioni è assordante.
Poi quando arrivano i numeri e le storie dei suicidi in carcere sono già caldi i comunicati stampa, le pose afflitte, le promesse del “mai più”. Se le carceri italiane fossero illuminate dalla stampa e dal dibattito pubblico sarebbero un quotidiano sigillo infame. Non servono nemmeno giudizi, non servono opinioni: bastano i numeri.