Inizia oggi presso il Tribunale di Caltanissetta un processo che potrebbe svelare nuovi e inquietanti retroscena legati alla strage di Capaci. Sotto accusa ci sono due generali dei carabinieri in pensione, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, accusati di depistaggio delle indagini condotte sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. Il procedimento, carico di implicazioni storiche e morali, mira a chiarire il ruolo di figure chiave nelle indagini sull’attentato che il 23 maggio 1992 strappò la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e agli agenti della scorta.
Secondo l’accusa, Pellegrini e Tersigni avrebbero ostacolato il lavoro dei magistrati, minimizzando e trascurando dettagli fondamentali delle rivelazioni di Riggio, ex agente di polizia penitenziaria affiliato a Cosa nostra. Riggio, dal 2018, ha reso dichiarazioni cruciali su episodi accaduti durante le stragi del biennio 1992-1994, rivelando anche i legami tra criminalità organizzata e settori deviati dei servizi di sicurezza. Tra le sue dichiarazioni spiccano riferimenti a un progetto di attentato contro il giudice Leonardo Guarnotta e all’opportunità di catturare Bernardo Provenzano utilizzando una microspia.
Gli imputati, che respingono ogni accusa, sono accusati di aver sottovalutato informazioni che avrebbero potuto rivelarsi decisive. La gestione del rapporto confidenziale con Riggio è al centro della vicenda. La Procura generale di Palermo aveva già sollevato dubbi sulla mancanza di documentazione tra il 2000 e il 2001, periodo in cui Riggio collaborava con la Direzione investigativa antimafia (Dia). Perché non furono redatti rapporti o appunti riservati?
Tra le accuse mosse a Pellegrini e Tersigni vi è anche il mancato approfondimento del piano per assassinare il giudice Guarnotta, allora presidente della Corte che giudicava Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Riggio affermò che Giovanni Peluso, un ex poliziotto ora imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, gli aveva rivelato dettagli sul piano, arrivando a disegnare uno schizzo dell’abitazione del magistrato. Tuttavia, le sue dichiarazioni apparvero contraddittorie durante il processo Capaci bis, sollevando ulteriori interrogativi.
Le rivelazioni di Riggio e i depistaggi istituzionali
Pellegrini, figura storica dell’antimafia e collaboratore di Falcone, si difende sostenendo di aver agito sempre in buona fede. Il peso delle accuse è significativo. Già nel 1981, Pellegrini aveva redatto un rapporto che svelava i legami di Provenzano con la sanità siciliana, dimostrando una profonda conoscenza dei meccanismi mafiosi. Ora, però, il processo lo pone in una posizione delicata, chiamandolo a rispondere di presunti errori che avrebbero compromesso la lotta contro Cosa nostra.
La testimonianza di Riggio, benché controversa, ha già portato alla luce elementi di grande rilevanza. Nel 2019, durante il processo Capaci bis, Riggio aveva parlato della presenza di una donna legata ai servizi segreti libici, presumibilmente in contatto con Peluso. Dichiarazioni che intrecciano la vicenda mafiosa con scenari internazionali, aggiungendo un ulteriore livello di complessità al caso.
Un processo che potrebbe riscrivere la storia
La Procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, ha chiesto il rinvio a giudizio dei due ufficiali. Il processo si presenta come un’occasione cruciale per chiarire aspetti oscuri della storia italiana recente, facendo luce sui legami tra mafia, istituzioni e apparati deviati dello Stato. Al di là delle posizioni difensive, rimane il dovere di garantire giustizia per le vittime di una stagione di sangue che ha segnato profondamente il Paese.
La mafia è scomparsa dal dibattito politico, data ormai come fatto storico. La storia completa degli attentati a Falcone e Borsellino e del periodo delle stragi però è ancora da raccontare.