“Altro che ddl Sicurezza. Le destre reprimono per alimentare le tensioni”. Parla il capogruppo Pd in Lombardia, Majorino

“Altro che ddl Sicurezza. Le destre reprimono per alimentare le tensioni”. Parla il capogruppo Pd in Lombardia, Majorino

“Altro che ddl Sicurezza. Le destre reprimono per alimentare le tensioni”. Parla il capogruppo Pd in Lombardia, Majorino

Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd nel Consiglio regionale della Lombardia, assessore ai servizi sociali a Milano dal 2011 al 2019, membro della segreteria nazionale dove è responsabile Casa e Immigrazione, già parlamentare europeo.

Martedì riprenderà al Senato l’esame del ddl Sicurezza che di fatto introduce ben 13 nuovi reati e numerose aggravanti in molteplici campi. Intanto, continuano le proteste in diverse piazze italiane contro un disegno di legge ritenuto autoritario e repressivo. Eppure quella della sicurezza sembra essere una reale esigenza del Paese, se e cosa non va nel testo?
“Il ddl proposto dalla destra non c’entra niente con la questione della sicurezza. Infatti andrebbe semplicemente, e più onestamente, chiamato ddl Repressione. Siamo al punto che per via delle scelte della destra rischieranno la galera operai che perdono il lavoro, come purtroppo accade, e danno vita ad una breve manifestazione non autorizzata di fronte alla loro fabbrica. È solo uno strumento per alimentare la tensione e criminalizzare il dissenso. La questione della sicurezza è ben altro ed è fondamentale. Abbiamo bisogno di una capillare presenza di forze dell’ordine, messe nelle condizioni di far bene il proprio lavoro, di misure per sconfiggere l’illegalità diffusa o di scelte, come quelle riguardanti la cancellazione della legge Bossi Fini utili per governare e gestire di più e meglio il fenomeno migratorio, nella legalità e trasparenza”.

In queste ore nei cortei per Ramy Elgalm si sono verificate tensioni a Bologna, a Milano e anche nella Capitale dove a San Lorenzo sono rimasti feriti 8 agenti. Lei crede che ci sia un clima d’odio contro le nostre forze dell’ordine, come sostiene parte della destra?
“Io credo che ci siano state violenze inaccettabili. E penso che il modo peggiore per ricordare Ramy Elgalm come giustamente sostenuto dal padre sia quello di compiere violenze in suo nome. Questo l’ho detto sin da subito. Gli agenti di polizia o i carabinieri non sono nemici. Altra cosa è sostenere l’azione della magistratura proprio perché sia garantita verità e giustizia di fronte alla morte di Ramy. Verità e giustizia che non possono essere rimosse per il gesto di qualche imbecille in piazza. Per quel che riguarda la destra è evidente che una parte di essa getta benzina sul fuoco. Contribuendo ad alimentare tensione. Io sto dalla parte del senso di serietà, misura, responsabilità, del padre di Ramy”.

Ramy era un immigrato di seconda generazione che viveva in quel quartiere milanese tanto complesso che è Corvetto. C’è un rischio banlieue in Italia?
“Cominciamo col dire che era un ragazzo assolutamente integrato. E che è morto. E che non c’è più. Non rispondo così perché ho capito male la domanda ma poiché a volte discutiamo di tutta questa vicenda dimenticandoci che siamo di fronte a una vita spezzata. Detto questo il Corvetto è un quartiere molto diverso da come lo si è rappresentato. Ha al suo interno varie facce, perfino sul piano urbanistico condizioni molto diverse. Non è una banlieue ma sicuramente un contesto in cui convivono problemi e tanti tentativi di risolverli. Ad esempio, al suo interno vive una rete di interventi sociali unici, e di esperienze di volontariato spesso sostenute dal Comune molto ricche. Poi, certo i problemi non mancano. Bisogna agire in contesti come quelli su più piani: garantire presenza visibile ed efficace delle forze dell’ordine, sostenere l’azione di chi lavora sul piano educativo e preventivo, risanare spesso – e certamente nel caso del Corvetto è vero – alloggi popolari lasciati in stato d’abbandono. Cosa di cui la destra non parla perché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di case popolari di proprietà di regione Lombardia”.

Il Capodanno milanese ha riacceso il dibattito sulle difficoltà dell’integrazione, con tanto di sdegno di Musk. In cosa stiamo sbagliando se la reazione all’accoglienza è l’insulto al paese ospitante, ovvero il nostro?
“Mi auguro che le inchieste vadano avanti e che ci sia molta durezza nel punire chi si è reso protagonista di azioni odiose contro donne e ragazze. Questo è un contributo all’integrazione perché la cultura della legalità si trasmetta anche nella nettezza dei comportamenti e mostrando grande intransigenza. Sulla questione dell’integrazione siamo di fronte al fatto che spesso non abbiamo lavorato – come sistema di istituzioni – a sufficienza anche su altri piani: la formazione, l’educazione, insomma tutto ciò che toglie dal margine le persone. Abbiamo bisogno di sostenere l’azione degli educatori come quella delle forze dell’ordine. Dobbiamo offrire opportunità e lavorare perché le persone non vivano in una condizione di marginalizzazione. Invece discutiamo solo di immigrazione sul piano emergenziale. Lo ha detto molto bene l’ex capo della Polizia Gabrielli e io sono totalmente d’accordo: servono più cose, più interventi, l’azione delle forze dell’ordine da sola non basta. E ciò, ripeto, è dimostrato dal fatto che è ancora in vigore la legge Bossi Fini, che aumenta il numero degli irregolari in Italia o ancora che è ancora in vigore una legge come quella sulla cittadinanza assolutamente arretrata. Detto tutto questo, infine, evitiamo le generalizzazioni pericolose: gli “immigrati” fanno il lavoro di cura, lavorano nei cantieri, portano avanti le imprese di pulizia, fanno i pizzaioli. Sono “immigrati” pure loro, quelli di questa maggioranza operosa e integrata. Non solo quelli che, e lo ripeto mi auguro vengano perseguiti con durezza, si sono resi protagonisti di atti odiosi”.

Lei che è nato a Milano e della città è stato anche assessore dal 2011 al 2019, come vede l’istituzione delle zone rosse e del daspo urbano?
“Non mi convincono, e la vicenda del Capodanno mi pare confermi che servono a poco. Ma a questo punto dico molto pragmaticamente: verifichiamone i risultati quando scadranno i termini di applicazione. Di sicurezza dobbiamo discutere anche sulla base delle esperienze concrete. Non solo in relazione a idee e impostazioni culturali. Diciamo che vorrei capire come mai il ministro Piantedosi porta alla loro istituzione e si dimentica di inviare gli agenti che aveva promesso. Dove sono?”

Veniamo alle recenti sentenze dei tribunali siciliani che annullano i trattenimenti di migranti nei centri di Pozzallo e Porto Empedocle dopo l’ultimo verdetto della Cassazione. Insomma, non c’è pace per il “modello Albania”?
“Il modello Albania è osceno. Spero salti una volta per tutte. Costa 800 milioni di euro che dovrebbero essere impiegati per i nostri ospedali. Non serve a nulla ed è inumano. Insomma è tutto il contrario di quel che servirebbe. Perché, invece del modello Albania, non cancelliamo la Bossi Fini e facciamo un grande piano nazionale per l’integrazione? Controlleremmo molto di più, in modo trasparente la stessa immigrazione”.