Netanyahu allarga il conflitto allo Yemen: l’aviazione dello Stato ebraico ha attaccato gli Houthi che promettono una “dura rappresaglia”

Netanyahu allarga il conflitto allo Yemen: l'aviazione dello Stato ebraico ha attaccato gli Houthi che promettono una "dura rappresaglia"

Netanyahu allarga il conflitto allo Yemen: l’aviazione dello Stato ebraico ha attaccato gli Houthi che promettono una “dura rappresaglia”

Alla fine, le indiscrezioni di stampa su un possibile attacco israeliano in Yemen, seccamente smentite dalle autorità dall’amministrazione Netanyahu nei giorni scorsi, si sono rivelate fondate. Già, perché nelle ultime ore l’aviazione dello Stato ebraico ha lanciato diversi raid contro obiettivi militari legati agli Houthi, ossia il gruppo armato sostenuto dall’Iran, che hanno causato, secondo l’emittente locale Al Masirah, la morte di almeno nove persone nella capitale San’a.

Un’operazione che, secondo l’esercito israeliano (IDF), è scattata “in risposta agli attacchi dei giorni scorsi compiuti dal gruppo terrorista degli Houthi contro Israele con l’utilizzo di droni e missili terra-terra” e che non avrebbe interessato obiettivi civili. Del tutto diversa, invece, la ricostruzione del movimento filo-iraniano, secondo cui l’attacco ha interessato infrastrutture energetiche, porti e siti petroliferi in tutto il Paese mediorientale.

Netanyahu allarga il conflitto allo Yemen: l’aviazione dello Stato ebraico ha attaccato gli Houthi che promettono una “dura rappresaglia”

Stando a quanto trapela, il via libera al raid in Yemen – che potrebbe non essere l’ultimo – è stato deciso e autorizzato dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal ministro della Difesa Israel Katz. Proprio quest’ultimo, facendo temere un allargamento del conflitto, ha spiegato che “Israele non esiterà ad agire per difendere se stesso e i suoi cittadini dagli attacchi Houthi”, lasciando di fatto aperta la porta a ulteriori operazioni militari. Un blitz su cui pesa il silenzio degli Stati Uniti che, però, secondo il Jerusalem Post, sarebbero stati avvisati in anticipo dei piani di Netanyahu, anche se non è chiaro quale sia stata la risposta di Washington.

Quel che è certo è che il raid non ha migliorato una situazione già molto tesa; anzi, l’ha ulteriormente aggravata, visto che il gruppo yemenita ha subito spiegato che “il bombardamento israelo-americano contro strutture civili in Yemen rivela la verità sull’ipocrisia dell’Occidente e confuta tutte le sue affermazioni umanitarie”, aggiungendo che “le nostre operazioni militari a supporto di Gaza continueranno fino a quando i crimini di genocidio a Gaza non cesseranno e sarà consentito l’accesso a cibo, medicine e carburante per i suoi abitanti”.

Parole a cui hanno fatto seguito i fatti, con gli Houthi che hanno rivendicato il lancio di due “missili balistici Palestine 2” contro “obiettivi militari sensibili” israeliani a Tel Aviv. Gli attacchi dello Stato ebraico sono stati duramente contestati dall’Iran della Guida suprema Ali Khamenei, con il ministro degli Esteri di Teheran, Esmaeil Baqaei, che ha parlato di “raid illegali” contro “infrastrutture civili” che costituiscono “una chiara violazione dei principi del diritto internazionale e della Carta dell’ONU”, commessa “con il sostegno incondizionato e criminoso degli Stati Uniti”.

La striscia di Gaza brucia

Intanto, nella Striscia di Gaza, dopo le speranze dei giorni scorsi per un possibile accordo tra Hamas e Israele, la pace sembra nuovamente allontanarsi. A riferirlo al quotidiano libanese Al-Akhbar sono alcuni funzionari del gruppo terroristico palestinese, che hanno raccontato di “questioni ancora aperte e che devono essere risolte”. Secondo quanto trapela, a causare lo stallo nei negoziati sarebbe il rifiuto di Netanyahu davanti alla richiesta di Hamas per un accordo di pace “definitivo”, con contestuale ritiro delle truppe di Tel Aviv, e anche la questione del rilascio delle soldatesse israeliane, che lo Stato ebraico pretende avvenga già nella prima fase della tregua, a differenza dei terroristi palestinesi, che vorrebbero posticiparlo a un successivo step dell’accordo.

Al di là delle dichiarazioni, spesso contrastanti, la sensazione è che uno spiraglio per chiudere il conflitto nella Striscia sia possibile, a patto che entrambe le parti scendano a compromessi. Tuttavia, in attesa di capire come andrà a finire, a Gaza si continua a combattere e morire. Almeno dieci palestinesi sarebbero morti in un attacco aereo israeliano su una casa nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia, mentre altri sei civili sono stati uccisi dai colpi di artiglieria sparati dalle truppe israeliane ad Al-Nuzha Street, a Jabaliya Al-Balad, sempre nel nord dell’enclave palestinese.

Striscia di Gaza dove la situazione sarebbe ormai fuori controllo, con l’organizzazione Human Rights Watch (HRW) che, nel suo ultimo rapporto, ha accusato Israele di aver “intenzionalmente privato i civili palestinesi di Gaza di un adeguato accesso all’acqua dall’ottobre 2023, causando molto probabilmente migliaia di morti e commettendo così il crimine contro l’umanità di sterminio e atti di genocidio”.