In fondo lo sanno anche loro. Che il lavoro in Italia sia sottopagato non stupisce neanche chi sta al governo. Nemmeno chi da più di un anno ostacola in ogni modo l’istituzione di un salario minimo. E se qualcuno avesse dubbi, ci pensa la sottosegretaria all’Economia, Sandra Savino, a confermare la consapevolezza delle destre sui salari tutt’altro che dignitosi in Italia.
“Non siamo noi politici a guadagnare tanto, ma gli altri a guadagnare poco”, dice in un’intervista a Repubblica. Peraltro con l’obiettivo di difendere l’aumento dei rimborsi delle spese di viaggio di ministri e sottosegretari. “Non è il parlamentare a prendere troppo, sono altri che prendono troppo poco. Anche io mi sento in imbarazzo pensando al primario di cardiologia che prende 3.500 euro”.
Insomma, per Savino il quadro è chiarissimo: i lavoratori in Italia guadagnano troppo poco. Sfugge solo un particolare: perché, allora, invece di aumentare i rimborsi ai ministri non si decide di intervenire per aiutare i lavoratori? In ogni caso, se a qualcuno dovesse essere sfuggito ciò che Savino dice apertamente, ci ha pensato anche la Commissione Ue a ribadirlo con chiarezza: in Italia il reddito familiare disponibile pro capite è in una “situazione critica”.
Salari da fame, in Italia reddito in calo
Nella proposta sul rapporto sull’occupazione, nell’ambito del pacchetto di autunno del semestre europeo, la Commissione cita i dati Eurostat e certifica che il reddito familiare lordo disponibile in Italia è ulteriormente diminuito nel 2023, scendendo al 94% rispetto al valore del 2008. Dove 100% è il livello del 2008.
Giusto per intenderci, la media Ue oggi è di 111,1%. L’aumento maggiore si registra a Malta, ma anche in altri Paesi come Romania, Ungheria, Polonia e Lituania si va oltre il 140%. Gli aumenti minori, ma comunque sostanziali, si hanno in Croazia, Spagna e Grecia. Mentre la situazione è critica solamente in Italia e Austria. Un altro triste primato sui salari.
Il report della Commissione: resta il gap di genere sull’occupazione
Qualche piccola buona notizia arriva dal calo del numero di giovani che abbandonano precocemente lavoro e formazione o che non lavorano né seguono corsi d’istruzione. Ma il tasso dei Neet resta ancora più alto in Italia (16,1%) che in Ue (11,2%). E al di sopra della media Ue è la quota di popolazione in Italia a rischio povertà o esclusione sociale.
E in generale c’è ben poco da festeggiare sul fronte occupazione. Pur con un tasso record, restano infatti importanti “sfide nel mercato del lavoro da affrontare”. Anche perché il tasso di occupazione è 9 punti percentuali sotto la media Ue ed è particolarmente indietro nel Sud e nelle Isole.
E una situazione “critica” si segnala soprattutto sul divario occupazionale di genere, che raggiunge i 19,5 punti percentuali. Più del doppio della media Ue e “senza miglioramenti significativi nell’ultimo decennio”. Inoltre il tasso di disoccupazione rimane tra i più alti in Ue, oltre a segnalarsi una situazione particolarmente critica per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Complessivamente si registrano sei punti segnalati come “critici” o “da tenere d’occhio”, che portano l’Italia a essere considerato un Paese che affronta “potenziali rischi per la convergenza sociale”. Insomma, bisognerebbe intervenire. D’altronde il governo, come dimostra Savino, sa bene che in Italia c’è un problemi di salari.
Eppure non si interviene, nonostante gli strumenti a disposizione ci sarebbero. Come ricorda il capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, Pasquale Tridico, nella scorsa legislatura a Bruxelles è stato introdotto il salario minimo, “ma il governo italiano non ha ancora recepito la direttiva, sostenendo che i lavoratori siano coperti dalla contrattazione collettiva. Tuttavia la contrattazione in molti settori è inefficace e non garantisce aumenti salariali”. E i risultati si vedono, come dimostrano i dati della Commissione Ue.