Bashar al-Assad è caduto, e con lui si sgretola un impero che, oltre al sangue, aveva un altro collante: il captagon. La Siria, per anni, non è stata solo il teatro di una guerra devastante, ma anche la più grande fabbrica mondiale della piccola pillola bianca che ha alimentato eserciti, studenti e lavoratori del Medio Oriente. Il regime di Assad, soffocato dalle sanzioni, aveva trovato nel captagon una leva economica e un mezzo di controllo. I video diffusi dai ribelli dopo la caduta di Damasco non lasciano dubbi: laboratori industriali nascosti in basi aeree, fabbriche di patatine e magazzini della capitale trasformati in centri di produzione clandestina.
Le immagini delle pillole infilate in mosaici, finti frutti ed elettrodomestici raccontano la sistematicità di un traffico da dieci miliardi di dollari l’anno, con un quarto finito nelle tasche del regime e, a cascata, nelle casse dei suoi alleati. Hezbollah, protetto da Teheran e sanzionato dall’Occidente, ha usato il captagon per diversificare le entrate e resistere alle pressioni economiche: la guerra è costosa e la milizia libanese è il più grande datore di lavoro del Paese, con centinaia di migliaia di persone che dipendono dalla sua rete sociale. Il captagon non è solo una droga: è il simbolo di un sistema di potere che, per sopravvivere, si è spinto oltre ogni scrupolo. La Siria, già piegata, era diventata il centro di un mercato tossico che ha drogato il conflitto e arricchito pochi. Ma non basta la caduta di Assad per spegnere la domanda. Se le fabbriche siriane si fermano, altre ne nasceranno altrove, forse in Iraq o in Europa, dove già si contano sequestri milionari.