Sembra uno scherzo del destino, ma quando nel Medio Oriente si placa una crisi, subito rischia di iniziarne un’altra. Così, proprio mentre la Siria, con non poche difficoltà, cerca di lasciarsi alle spalle l’era del dittatore Bashar al-Assad e a Gaza si torna a parlare di un “imminente accordo di pace” tra Hamas e Israele, con funzionari di Tel Aviv che si dicono certi che la tregua verrà siglata prima di Natale, a preoccupare è la situazione in Yemen.
Secondo un’indiscrezione di Al Jazeera, all’interno del governo israeliano di Benjamin Netanyahu si starebbe pensando a un nuovo regolamento di conti che questa volta riguarderebbe gli Houthi. Stando a quanto riporta la televisione qatariota, il raid potrebbe avvenire da un momento all’altro, visto che ci sarebbe “pieno consenso nell’establishment della sicurezza israeliana sulla necessità di lanciare un attacco” contro i gruppi sciiti e filo-iraniani, che si sono assunti la piena responsabilità dei continui attacchi contro Israele e contro le navi occidentali in transito nel Mar Rosso.
Che lo Yemen sia diventato l’osservato speciale lo dimostra anche il fatto che le forze del Comando centrale degli Stati Uniti, dopo settimane di relativa tranquillità, sono tornate in azione con un attacco aereo “di precisione contro una struttura di comando e controllo chiave gestita dagli Houthi sostenuti dall’Iran nel territorio di Sana’a”.
La Siria è in macerie e Netanyahu ne approfitta
Intanto resta alta la tensione in Siria. Qui il nuovo governo sta provando a riallacciare i rapporti con la comunità internazionale, cercando di proporsi come una forza “moderata” e rinnegando – almeno a parole – gli antichi legami con Al Qaeda e con l’Isis. Contestualmente, stanno riorganizzando il Paese, che appare più diviso che mai. A portare avanti queste strategie è il capo della coalizione islamista Abu Mohamed al-Jolani che, come già fatto nei giorni scorsi, ha diffuso alcuni messaggi su Telegram annunciando che i gruppi jihadisti che hanno rovesciato al-Assad saranno “sciolti” e i loro combattenti verranno “integrati nel nuovo esercito regolare” sotto il controllo “del ministero della Difesa”.
Sempre il leader del gruppo radicale sunnita Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha poi provato a tranquillizzare Netanyahu – forse nel tentativo di convincerlo a fermare i raid con cui l’esercito dello Stato ebraico sta martellando la Siria – rivelando al Times britannico di essere impegnato “a rispettare l’accordo del 1974”, assicurando di “non voler alcun conflitto, né con Israele né con chiunque altro” e promettendo, in ultimo, che “non lasceremo che la Siria venga usata come rampa di lancio per attacchi” verso Tel Aviv. Peccato che, malgrado la mano tesa, al momento Netanyahu non sembra fidarsi granché di al-Jolani e delle milizie jihadiste che hanno preso il potere, motivo per cui continuano a mantenere un presidio militare in territorio siriano.
Ma per il leader di HTS i problemi non sono finiti. In queste ore, secondo il Wall Street Journal, la Turchia e i gruppi militari suoi alleati starebbero rafforzando il dispiegamento di forze lungo il confine con la Siria. Il timore, secondo quanto dichiarano alti funzionari americani al quotidiano statunitense, è che Ankara potrebbe lanciare un’incursione su larga scala nel territorio controllato dai curdi siriani sostenuti dagli Stati Uniti.
La flebile speranza per la tregua a Gaza
Davanti a tante tensioni, fortunatamente torna ad accendersi la speranza per un possibile accordo di pace tra Hamas e Israele. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, le parti sarebbero “più vicine che mai” a un accordo per il rilascio degli ostaggi a Gaza e a un cessate il fuoco della durata di sessanta giorni.
Che qualcosa si stia muovendo lo si capisce dalle parole del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che ha scritto su X che, una volta che la situazione sarà tornata alla normalità, l’esercito dello Stato ebraico (IDF) avrà “pieno controllo della sicurezza” sulla Striscia di Gaza, “proprio come avviene in Cisgiordania”, aggiungendo che Tel Aviv “non permetterà che alcuna organizzazione terroristica venga fondata a Gaza contro le comunità e i cittadini israeliani”.