Ora che persino Mario Draghi ha scoperto che “le politiche europee hanno tollerato una bassa crescita dei salari come strumento per aumentare la competitività esterna, aggravando la debolezza del ciclo reddito-consumo”, il tema degli stipendi da fame è tornato di stretta attualità. Pazienza se, come molti prima di lui, l’ex premier abbia scoperto la pietra filosofale solo dopo aver lasciato la guida del governo. Quando, neanche a dirlo, parlare di salario minimo si rivelò un tabù. Non serviva, peraltro, il ravvedimento tardivo dell’ex Mr. Bce per scoprire ciò che, destre e governo a parte, è da tempo sotto gli occhi di tutti. Anche perché, se l’occupazione cresce, ma le ore lavorate diminuiscono e da ventuno mesi consecutivi la produzione industriale continua ad arretrare, che ci sia un problema di qualità – e quindi di retribuzione – del lavoro non è difficile da capire.
E non finisce qui. Perché se con l’introduzione del sistema previdenziale contributivo, il livello degli stipendi di oggi determinerà quello delle pensioni di domani (meno guadagni, meno versi, meno percepirai), un altro allarme da non prendere assolutamente sotto gamba è arrivato ieri dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps (Civ). “Il sistema previdenziale italiano, anche in prospettiva, è economicamente sostenibile soprattutto perché contiene dei meccanismi automatici di riequilibrio che legano i trattamenti pensionistici al reddito nazionale e alla speranza di vita – ha detto il presidente del Civ, Roberto Ghiselli -. Semmai il problema, soprattutto per le generazioni più giovani, sarà quello della sostenibilità sociale perché se non si inverte la tendenza di un lavoro sempre più discontinuo e a basso reddito le future pensioni saranno sempre più povere”. Insomma, a salari da fame corrisponderanno inevitabilmente pensioni da fame. Ma sul salario minimo il governo Meloni continua a fare orecchie da mercante. Anche se, nei giorni scorsi, il centrodestra ha battuto un colpo. Con un emendamento alla Manovra per prendere, finalmente, di petto la povertà. Ma solo quella dei ministri e dei sottosegretari non parlamentari. Quando si dice le priorità.