Quella del dicembre 2024 rischia di passare alla storia come la Manovra di Bilancio che ha cancellato una delle più grandi ingiustizie della storia del Paese. No, non si tratta dell’aumento degli stipendi di medici e infermieri, né dell’introduzione del salario minimo e neppure dell’indicizzazione degli stipendi dei dipendenti pubblici all’inflazione.
No, no. Finalmente dopo decenni il governo di Giorgia Meloni ha avuto il coraggio di parificare lo stipendio dei ministri non eletti a quello dei loro colleghi eletti. Un atto di perequazione sociale che ieri è passato sotto forma di emendamento dei relatori, per la gioia di tutta la maggioranza.
Biancofiore: “Un ministro non può guadagnare solo 5mila euro al mese”
Come ha spiegato per tutti la senatrice di Noi Moderati Michaela Biancofiore: “Se sono d’accordo con l’aumento dello stipendio ai ministeri non parlamentari? Assolutamente sì, credo che uno che fa il ministro non può prendere 5.000 euro al mese, con tutte le responsabilità che ha”.
La senatrice ha anche risposto al Movimento Cinque Stelle, il quale aveva sottolineato come, grazie al provvedimento, il ministro Giuseppe Valditara, per esempio, si troverà sotto l’albero 7.193,11 euro al mese in più, cioè “un aumento pari quasi al quintuplo dello stipendio medio di un qualsiasi insegnante italiano”.
“Ma lui (Valditara, ndr) ha anche una responsabilità sette volte più grande di un insegnante, senza nulla togliere a questi ultimi, ovviamente, figuratevi, mia madre era una professoressa”, ha risposto candidamente Biancofiore. Che ha chiosato: “Un ministro però lavora 24 ore al giorno, si prende grandissime responsabilità e deve esser retribuito in modo corretto”. Da parte sua, Valditara, ha sdegnosamente dichiarato che non accetterà l’aumento, confermando (paradossalmente) tutte le critiche al provvedimento.
La prima proposta sensata di Gasparri (ma era uno scherzo)
In mattinata era stato l’azzurro Maurizio Gasparri a difendere (a suo modo) l’aumento: “Siccome un ministro guadagna un terzo, un quarto di un parlamentare, io proporrò in Senato di equiparare i trattamenti di noi parlamentari a quelli dei ministri che non sono parlamentari. Così risolviamo il problema”, aveva detto marziale.
Una provocazione che però è piaciuta alla M5s Alessandra Maiorino: “Travolto dall’imbarazzo per l’indecente decisione di aumentare lo stipendio di alcuni ministri del governo Meloni, Gasparri stamattina sembra essersi improvvisamente ricordato, dopo decenni, che esistono milioni di cittadini comuni da rispettare e a cui dare segnali di sobrietà. Bene, ora faccia portare velocemente la proposta nel Consiglio di presidenza del Senato e chieda a qualche suo collega di partito di fare lo stesso alla Camera, perché sono quelli gli organi deputati a decidere degli stipendi e di varie altre prebende dei parlamentari”, ha dichiarato.
“Per la prima volta noi saremo d’accordo con Gasparri, voteremo la sua proposta e gli daremo l’occasione storica di avere fatto finalmente, dopo 32 anni da mantenuto della politica, qualcosa di buono per i cittadini”, ha concluso Maiorino.
Forza Italia in soccorso degli stipendi di Renzi
Ma, se con una mano dà, questa Legge di Bilancio con l’altra vorrebbe togliere. A partire dal divieto voluto dall’esecutivo, per membri del governo, parlamentari, europarlamentari e presidenti di Regione di “svolgere incarichi retribuiti in favore di soggetti pubblici o privati non aventi sede legale o operativa nell’Unione europea”. È la norma subito ribattezzata “anti-Renzi“, perché impedirà al leader di Italia viva di percepire i lauti compensi elargiti dal principe saudita Mohammed bin Salman.
In mattinata Renzi si era scagliato contro la premier sulla sua Enews: “Giorgia Meloni ha voluto personalmente una legge ad personam contro di me in sede di Legge di Bilancio”, aveva scritto, “Provo imbarazzo per chi usa il potere della maggioranza per fare leggi contro gli avversari: è un atteggiamento da Repubblica delle Banane”. E aveva concluso con “la mia reazione è molto semplice: sorrido. Non mi arrabbio, non urlo, non inveisco”.
Ma FdI ha avuto l’ultima parola
Una tranquillità forse dettata dalla consapevolezza che fosse in arrivo il subemendamento a firma dello sconosciuto Roberto Pella (Forza Italia), il quale prevedeva che membri del governo, parlamentari e presidenti di Regione potessero ricevere compensi da soggetti pubblici o privati extra Ue, a patto di richiedere “entro 30 giorni dall’entrata” in vigore della presente legge l’autorizzazione agli organi di appartenenza”. Un salvataggio però bloccato in serata da un altro subemendamento, stavolta presentato dal deputato Luca Cannata di FdI, che non solo ha confermato il divieto, ma ha anche aggiunto una sanzione (“in caso di inosservanza, il versamento delle somme percepite va all’erario”).