Con la crisi in Siria ben lontana dall’essere risolta e la guerra nella Striscia di Gaza che continua senza sosta con il suo tragico carico di morte, l’osservato speciale di Stati Uniti – in particolare di Trump – e Israele resta l’Iran di Ali Khamenei, contro il quale si fanno sempre più insistenti le voci di un possibile attacco “preventivo” per infliggere un colpo mortale al regime di Teheran.
Trump valuta un attacco alle infrastrutture nucleari dell’Iran
A scriverlo è il Wall Street Journal, secondo cui il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, sta valutando diverse opzioni per aumentare la pressione sull’Iran, inclusa un’azione militare per frenare le sue ambizioni nucleari. Una decisione del genere, quella di colpire le strutture atomiche del Paese mediorientale, romperebbe irrimediabilmente la politica statunitense di lunga data, basata sul contenimento di Teheran attraverso diplomazia e sanzioni.
A spingere in questa direzione, prosegue l’articolo, sarebbero diversi consiglieri del tycoon, convinti che il programma nucleare iraniano sia ormai a una fase troppo avanzata per poter essere contenuto con sole pressioni diplomatiche. Per questo, stanno caldeggiando l’ipotesi di “condurre attacchi militari mirati contro le strutture nucleari iraniane”, sfruttando l’indebolimento della posizione regionale dell’Iran. Quest’ultimo ha visto andare in frantumi, sotto i colpi delle forze armate di Benjamin Netanyahu, il suo “asse della resistenza”, composto da Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e, seppur come alleata marginale, la Siria dell’ex presidente Bashar al-Assad.
Con l’appoggio di Trump, Netanyahu non vuole fermarsi
Come avviene ormai da settimane, in tutto il Medio Oriente continuano a imperversare le forze armate dello Stato ebraico. Nelle ultime 24 ore l’esercito israeliano (IDF) ha colpito numerose postazioni appartenenti all’ex esercito di Assad, riducendo – secondo fonti militari – di oltre l’80% il potenziale bellico del Paese, con l’obiettivo di evitare che tali armi possano cadere nelle mani dei guerriglieri jihadisti guidati da Abu Mohammed al-Jalani, ora al potere in Siria. Contestualmente, Israele ha sferrato diversi raid nella Striscia di Gaza, principalmente a Rafah e Khan Younis, causando la morte di almeno 60 palestinesi e il ferimento di altri 50.
Queste azioni, che destabilizzano ulteriormente il Medio Oriente, sono state fortemente criticate dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha chiesto a Israele di “fermare gli attacchi alla Siria”, rinunciando all’occupazione delle alture del Golan, e di cessare le operazioni nella Striscia di Gaza. Tuttavia, tali appelli, come spesso accade, sono caduti nel vuoto.
Mattarella incontra Abu Mazen
La brutale condotta di guerra da parte di Israele sta avvenendo nel pressoché totale silenzio dell’Occidente, Italia inclusa. Questo contesto ha alimentato il dibattito dopo l’incontro avvenuto al Quirinale tra il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Durante il colloquio, il leader palestinese ha ribadito la condanna per “ciò che è avvenuto il 7 ottobre”, sottolineando come l’attacco di Hamas sia stato “disumano e inaccettabile”.
Abu Mazen ha poi ribadito che i palestinesi “non sono per la violenza” e che l’Autorità Palestinese “ha chiesto ad Hamas la liberazione degli ostaggi” israeliani. Inoltre, ha sollecitato Mattarella a convincere il governo di Giorgia Meloni a “riconoscere lo Stato di Palestina”. Il Capo dello Stato italiano ha espresso il suo sostegno, affermando che “la soluzione due Stati due popoli è indispensabile” poiché, senza di essa, “ci saranno sempre esplosioni di violenze”.
La polemica italiana sulla Cpi
Intanto in Italia si torna a discutere della richiesta di arresto formulata dalla Corte Penale Internazionale (CPI) nei confronti di Benjamin Netanyahu. Sul punto, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha dichiarato che se il leader israeliano dovesse recarsi in Italia, probabilmente “non lo arresteremmo”. Ha poi aggiunto che “bisogna ragionare con la mente aperta sulle responsabilità. Se gli ostaggi fossero stati restituiti, Netanyahu non avrebbe avuto nessuna possibilità di svolgere l’azione che ha fatto”.
Queste parole hanno scatenato la reazione dei deputati del Movimento 5 Stelle – Stefania Ascari, Carmela Auriemma, Valentina Barzotti, Dario Carotenuto e Arnaldo Lomuti – e degli europarlamentari Danilo Della Valle e Gaetano Pedullà. In una nota congiunta, hanno dichiarato che “lo Statuto di Roma che istituisce la Corte Penale Internazionale è chiaro e non lascia spazio a fraintendimenti. L’immunità a Netanyahu e Gallant, paventata dalla Francia e anche da esponenti del governo italiano, non è applicabile. Il mandato d’arresto emesso lo scorso 22 novembre nei confronti dei due membri del governo israeliano va eseguito senza se e senza ma, nel caso in cui si dovessero recare in uno dei 124 Paesi che hanno sottoscritto lo Statuto”.