Export di silenzio: gli affari con l’Iran prevalgono sui diritti delle donne

In Iran l’hijab diventa un’arma di oppressione: tra condanne a morte e resistenza, le donne lottano per libertà e dignità universali.

Export di silenzio: gli affari con l’Iran prevalgono sui diritti delle donne

In Iran l’obbligo dell’hijab si è trasformato accorra una volte in un campo di battaglia per la libertà. Le donne che osano sfidare la morale imposta rischiano non solo multe salatissime e frustate ma anche la reclusione e, in alcuni casi, la pena di morte.

La legge della repressione: in Iran l’hijab come arma di controllo

La nuova legge, approvata recentemente con il nome ipocrita di “Protezione della famiglia tramite la promozione della castità e dell’hijab”, rappresenta il culmine di una strategia repressiva che ha radici profonde nel regime. Il decreto punisce con una ferocia inaudita chi promuove o si espone a comportamenti considerati “indecenti”. Le pene includono multe fino a 12.500 sterline, la detenzione fino a quindici anni e, nei casi definiti come “corruzione sulla Terra”, l’esecuzione capitale.

La spirale di oppressione si è ulteriormente intensificata dal settembre 2022, quando la protesta “Donna, Vita, Libertà” ha scosso le fondamenta del regime. Da allora il numero di esecuzioni è aumentato drammaticamente: nel 2023, Amnesty International ha documentato almeno 853 condanne a morte, il numero più alto degli ultimi otto anni. L’Iran usa il patibolo come strumento di controllo, un monito sanguinario per soffocare la resistenza.

Tra le nuove misure spicca l’articolo 37, che introduce pene severissime per chiunque condivida con entità straniere immagini o informazioni relative alla violazione delle norme sull’abbigliamento. In sostanza, le donne che si mostrano senza velo o che collaborano con media internazionali rischiano fino a dieci anni di carcere. E ancora, per chi viene accusato di “promuovere il disvelamento”, la condanna a morte è una realtà possibile.

La repressione è orchestrata con una precisione spietata. La polizia morale è tornata a pattugliare strade e spazi pubblici con il “piano Noor”, un programma nazionale che mira a garantire l’applicazione ferrea delle norme sull’hijab. In parallelo, le autorità hanno intensificato le operazioni di sorveglianza digitale, monitorando attivamente le attività online delle donne e identificando coloro che condividono contenuti considerati inappropriati. Tuttavia, nonostante il clima di paura, molte donne continuano a resistere con coraggio. Condividono video, sfidano pubblicamente le autorità e mettono in scena atti di disobbedienza che sembrano piccoli, ma che pesano come macigni.

Resistere al terrore: il coraggio delle donne contro il regime

La comunità internazionale osserva, spesso in silenzio, troppo spesso con distrazione. Amnesty International ha denunciato le violazioni come crimini contro i diritti umani, sottolineando che punire con la morte chi invia video senza velo è una barbarie senza giustificazione. Eppure l’indignazione globale è un fiume che fatica a scorrere. A fronte di risoluzioni e appelli, le azioni concrete restano scarse, lasciando le donne iraniane sole in una battaglia che richiederebbe il sostegno di una comunità globale realmente impegnata.

L’Iran non si limita a colpire il corpo delle donne ma mira a spezzarne la volontà. Ogni esecuzione, ogni arresto, è un tassello di un disegno più grande: ridurre al silenzio chiunque osi immaginare una società diversa. Nonostante ciò, la lotta delle donne iraniane è un grido che non si spegne. Le loro voci si uniscono in un coro che attraversa le frontiere, raggiungendo chi ancora crede che la libertà e la dignità siano diritti universali e inalienabili.

Nel 2023, l’interscambio commerciale tra Italia e Iran ha raggiunto i 750 milioni di euro, con 600 milioni di esportazioni italiane verso l’Iran e 150 milioni di importazioni dall’Iran. Si tratta di un incremento del 9% rispetto ai 629 milioni di euro del 2021, segnando il secondo anno consecutivo di crescita. Chissà se si troverà anche il tempo di parlare di diritti, in mezzo agli assegni.