di Clemente Pistilli
I magistrati possono fare politica. La polemica non è più sull’aspetto legato allo schieramento o meno delle toghe. Mentre continuano la loro attività nei tribunali, i giudici possono salire su un palco, partecipare a una campagna elettorale, mettere il loro volto sui manifesti e dare alla coalizione che abbracciano quel sigilli di autorevolezza legato all’impegno in quel gruppo di un uomo delle istituzioni. A stabilirlo è stata direttamente la Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza con cui un giudice per fatti del genere era stato condannato dal Csm.
A tutto spot
La vicenda prende le mosse dalla campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Cassino, nel 2011. Il Pdl schierò Carmelo Colombo come aspirante primo cittadino. Candidandosi con una civica, venne poi designato come possibile vice Paolo Andrea Taviano, giudice del Tribunale di Avezzano. Il magistrato non chiese l’aspettativa e si impegnò in campagna elettorale. Comizi, manifesti, inserti sui quotidiani locali: il giudice non fece mancare il suo sostegno alla coalizione e nella propaganda specificò bene di essere un magistrato. Soddisfatto il centrodestra, l’allora guardasigilli e attuale vicepremier Angelino Alfano in testa. “A Cassino abbiamo scelto una coalizione omogenea, che vedrà addirittura un magistrato come vicesindaco”, affermò con orgoglio l’ex delfino di Berlusconi.
Accuse e processi
Le urne non premiarono il Pdl. Vinse senza troppi problemi il candidato del centrosinistra, Giuseppe Golini Petrarcone. L’impegno del magistrato durante la competizione non andò però giù all’allora deputata Anna Teresa Formisano, dell’Udc, che sollevò il caso. Era il 27 settembre 2011 e dopo appena due mesi la Procura generale presso la Corte di Cassazione chiese di chiudere la vicenda con un non luogo a procedere, visto che Taviano esercitava la sua attività professionale in un circondario diverso da quello di Cassino e non sarebbe stato inserito in maniera organica in un partito. Di diverso avviso il Csm, che il 27 febbraio scorso ha condannato il magistrato alla sanzione della censura.
Verdetto ribaltato
Il giudice ha calato la sua ultima carta con un ricorso in Cassazione e le sezioni unite della Suprema Corte gli hanno ora dato ragione, annullando la condanna e rinviando il caso al Csm, per un nuovo giudizio. Per gli ermellini, Taviano ha esercitato legittimamente il diritto di elettorato passivo e l’impegno in campagna elettorale, visto che è stato per pochi giorni e solo per quella competizione, non può essere considerato un’attività sistematica e continuativa all’interno di un partito, l’unica censurabile. E l’aver speso la qualifica di magistrato nei manifesti? Forse quello per la Cassazione è un problema, ma non è stata quella la contestazione fatta al giudice e il Csm deve quindi riesaminare la vicenda. Insomma, fare politica senza lasciare temporaneamente l’attività di giudice è lecito. Basta non farlo spesso e farlo per poco tempo. Taviano, comunque, non si è arreso e ha tentato di nuovo di battere la strada della politica, candidandosi alle regionali del Lazio con la Fiamma Tricolore, ma in quel caso si è messo in aspettativa.