Due giorni. Tanto è bastato per far crollare la maschera del leader della Lega. Matteo Salvini, che ha urlato la necessità di chiudere Schengen, si ritrova spettatore di un’Unione europea che non solo non gli dà ascolto, ma rilancia in direzione opposta. Bulgaria e Romania, dal primo gennaio, entreranno nell’area di libera circolazione. E sì, con il voto favorevole dell’Italia.
Salvini contro Schengen: urla in patria, silenzio a Bruxelles
L’ultima performance del Salvini ministro — quel mix di retorica e allarmismo di comodo — ha trovato il solito pubblico in patria, ma un silenzio assordante a Bruxelles. “Schengen va ripensato”, era il grido di battaglia. Ma l’Europa ha fatto orecchie da mercante, scegliendo di allargare il perimetro della libera circolazione anziché chiuderlo. Il voto del Consiglio dell’Unione europea è arrivato quasi senza intoppi: i ministri dell’Interno dei 27 Stati membri hanno dato il via libera definitivo all’ingresso di Romania e Bulgaria con una larga maggioranza. Il sostegno è stato schiacciante, con solo poche voci discordanti. Una vittoria netta per chi crede ancora in un’Europa aperta e inclusiva.
L’Italia, governata da una coalizione di destra, ha votato a favore. Una mossa che suona come una sberla politica a Salvini, ministro dei Trasporti e leader della Lega, che negli ultimi giorni aveva alzato il tiro contro Schengen, alimentando le solite paure sull’immigrazione. Non è la prima volta che il suo partito cerca di cavalcare l’onda del populismo, ma è forse una delle più clamorose sconfitte diplomatiche subite. Mentre Salvini agitava lo spauracchio del “nemico alle porte”, Romania e Bulgaria lavoravano con discrezione e serietà per soddisfare i criteri richiesti: controlli alle frontiere, lotta alla corruzione, riforme giudiziarie. Il risultato? Bruxelles ha preferito i dossier alle urla.
La decisione di allargare Schengen non è arrivata a cuor leggero. Negli ultimi anni, l’area ha subito pressioni crescenti. La pandemia ha riportato i controlli alle frontiere interne; la guerra in Ucraina ha aumentato le tensioni migratorie. Tuttavia, i ministri dell’Interno hanno scelto di guardare avanti, respingendo la retorica delle chiusure. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha definito il voto “un momento storico per l’Europa”. Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, ha parlato di “una vittoria per tutti i cittadini europei”. Parole che suonano come una sconfitta politica per chi, come Salvini, continua a evocare muri.
L’Italia vota sì: una sberla politica al leader della Lega
Eppure, la provocazione più grande arriva proprio dall’interno del governo italiano. Giorgia Meloni, impegnata a mantenere un fragile equilibrio tra le diverse anime della coalizione, ha scelto di sostenere l’allargamento. Salvini, così, si è trovato isolato anche a casa sua. Le ragioni del sì italiano sono chiare: il governo sa che bloccare l’accesso di Romania e Bulgaria avrebbe danneggiato gli interessi economici dell’Italia, uno dei principali partner commerciali dei due Paesi. L’allargamento di Schengen favorirà la circolazione delle merci, facilitando gli scambi e rafforzando le relazioni diplomatiche. Insomma, il pragmatismo ha vinto sull’ideologia.
Ma Salvini non demorde. Dopo il voto, ha ribadito la necessità di rivedere le regole di Schengen, accusando l’Europa di “ingenuità” di fronte alle sfide della sicurezza. È lo stesso refrain che il leader della Lega utilizza da anni, con sempre meno efficacia. L’Europa, intanto, si muove: il voto su Romania e Bulgaria è solo l’ultimo esempio di un’Unione determinata a mantenere vivo il progetto di integrazione, nonostante le difficoltà. Salvini, al contrario, sembra bloccato in un loop di slogan e paure.
Oggi, l’Italia deve fare i conti con un ministro che ha perso l’ennesima battaglia, lasciando spazio alla domanda: quanto ancora si potrà ignorare la distanza tra i proclami della Lega e la realtà di un’Europa che non si ferma? Se la risposta non arriva dal governo, potrebbe arrivare presto dagli elettori.