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Flessibilità uguale più lavoro: la solita balla liberista

Flessibilità uguale più lavoro, una tesi non nuova tra i liberisti. Peccato per loro che analisi e studi pubblicati dicano l’esatto opposto.

Flessibilità uguale più lavoro: la solita balla liberista

Domenica scorsa “il Giornale” ha pubblicato un’intervista a Nicola Rossi, economista con un passato in politica (Ds e Pd) e nella montezemoliana Italia Futura, oggi presidente della commissione del Mef che stima l’evasione. Parlando dello stato di salute del mercato del lavoro, Rossi si è spinto in un’analisi ben riassunta nel titolo: “La flessibilità ha contribuito a creare nuovi posti di lavoro ma qualcuno fa finta di nulla”.

Tesi purtroppo non nuova tra i liberisti. Peccato per loro che analisi e studi pubblicati negli anni dicano l’esatto opposto, certificando il fallimento della flexicurity. In un working paper diffuso a novembre 2022 da Bankitalia, dal titolo “Gli effetti delle riforme parziali del mercato del lavoro: evidenza per l’Italia”, ad esempio, è scritto che “contrariamente agli intenti dichiarati” la riforma del mercato del lavoro varata nel 2001 dal governo Berlusconi II, volta ad ampliare la possibilità di adottare i contratti a tempo determinato, “non ha avuto alcun effetto sull’occupazione”.

Con la stessa riforma – hanno rilevato gli analisti di Palazzo Koch – ci sono stati vincitori e vinti: “I principali vincitori sembrano essere le imprese poiché il costo del lavoro è diminuito sostanzialmente, portando a un aumento dei profitti”; al contrario, “i giovani lavoratori sembrano essere i principali perdenti poiché i loro guadagni sono stati sostanzialmente depressi, portando a un divario crescente delle retribuzioni” con i colleghi più anziani. Anche un’altra ricerca, condotta dall’economista Emiliano Brancaccio insieme a Fabiana De Cristofaro e Raffaele Giammetti (2020), ha bocciato le politiche di deregulation del mercato del lavoro degli ultimi trent’anni.

Per Brancaccio “il 72% delle analisi empiriche pubblicate tra il 1990 e il 2019 non conferma che la flessibilità crea occupazione. (…) L’evidenza mostra che i contratti precari rendono i lavoratori più docili, e quindi provocano un calo della quota salari e più in generale un aumento delle disuguaglianze”. Se non bastasse, andando ancor più a ritroso nel tempo (2015), su “lavoce.info” Paolo Barbieri e Giorgio Cutoli hanno riassunto i risultati di un’analisi condotta sui Paesi europei fra il 1992 e il 2008, da cui “emerge con chiarezza” la “situazione particolarmente problematica del Sud” del continente: la deregolamentazione “si è rivelata una politica inefficace per favorire la creazione di occupazione”, mentre “si è verificato un graduale processo di sostituzione di lavoro stabile con lavoro temporaneo e si registra comunque uno tra i più alti tassi di disoccupazione di lunga durata”. Più chiaro di così…