Ci vuole coraggio, molto coraggio, e anche una buona dose di faccia tosta, per affermare come fa la ministra del Lavoro, Marina Calderone, che il ddl Lavoro, collegato alla Manovra, e definitivamente approvato ieri dal Senato, è “all’insegna della semplificazione e della stabilità del lavoro, non certamente di un aumento della precarietà”.
Il provvedimento presenta almeno tre norme che vanno nel senso di un allargamento dell’area del lavoro precario e povero, con l’obiettivo di favorire le imprese e azzoppare ancora di più, se possibile, le tutele dei lavoratori.
Peraltro non c’era da aspettarsi di meglio da chi ha cancellato il Reddito di cittadinanza e da chi continua a dire no al salario minimo.
Le norme che allargano l’area del lavoro povero e precario
Si parte dal potenziamento dei contratti di somministrazione. Vengono esclusi dal tetto del 30% previsto per i lavoratori in somministrazione a tempo determinato rispetto al totale dei contratti stabili, i lavoratori assunti dalle agenzie per il lavoro a tempo indeterminato o lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze (svolgimento di attività stagionali o di specifici spettacoli, start-up, sostituzione di lavoratori assenti, lavoratori con più di 50 anni).
Vengono stabiliti meno limiti al lavoro stagionale. Rientrano tra le attività stagionali, quelle organizzate per far fronte a “intensificazioni” dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
Assenze ingiustificate uguale dimissioni
Spazio a quelle che le opposizioni hanno ribattezzato come “dimissioni in bianco”. L’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre i quindici giorni, comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore e in tal caso non si applica la disciplina sulle dimissioni telematiche.
Non scatta se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza.
“Il collegato Lavoro è l’ennesima opera di stravolgimento delle tutele già fragili di lavoratrici e lavoratori italiani. La maggioranza ha scelto di comprimere la discussione del provvedimento, quasi a voler soddisfare più le richieste di Confindustria che salvaguardare i diritti dei lavoratori”, ha affermato nell’Aula del Senato il capogruppo del M5S in X Commissione, Orfeo Mazzella.
“Il Governo ha deciso di percorrere la via della riduzione dei costi del Lavoro: una scelta che non solo danneggia i lavoratori ma compromette anche la capacità competitiva della nostra intera economia. La possibilità di utilizzo illimitato della somministrazione si muove in tale direzione: da oggi le aziende potranno scegliere di dotarsi unicamente con lavoratori ‘usa e getta’, riducendo drasticamente le opportunità di un impiego stabile e dignitoso”.
“Altresì – ha concluso il senatore pentastellato – l’introduzione dell’assenza ingiustificata come dimissioni rappresenta un ulteriore attacco ai diritti di donne e uomini, esponendoli a licenziamenti senza giusta causa”.
Duri anche i sindacati. “Il governo e la maggioranza parlamentare, con il voto definitivo al cosiddetto collegato Lavoro, hanno deciso scientemente di peggiorare le condizioni di milioni di lavoratrici e lavoratori”, afferma la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli.
Il provvedimento “è di una gravità inaudita – prosegue la dirigente sindacale – perché non farà altro che ridurre le già fragili tutele nel lavoro, aumentando la precarietà, i contratti brevi e il lavoro povero e indebolire la contrattazione”.