Dal 2016 al 2027, Bruxelles ha destinato almeno 327,7 milioni di euro per potenziare i regimi di controllo alle frontiere di Libia e Tunisia, secondo quanto riportato nel documento di SOS Humanity. Un investimento che non solo consolida pratiche che sfidano il diritto internazionale, ma accende una luce inquietante su un sistema che sacrifica i diritti umani sull’altare della deterrenza migratoria.
Il caso Libia: un inferno finanziato dall’Europa
Nonostante la Libia non sia considerata un luogo sicuro ai sensi del diritto marittimo internazionale, l’Unione europea continua a collaborare con le autorità locali, incluse le cosiddette guardie costiere libiche, accusate di gravi violazioni dei diritti umani. Dal 2016 a novembre 2024, queste forze hanno intercettato e riportato illegalmente in Libia oltre 144.800 persone. Queste “riammissioni” forzate avvengono spesso sotto la minaccia di armi da fuoco e rappresentano un tradimento del principio di non-refoulement, uno dei pilastri del diritto internazionale.
Il sostegno europeo si è manifestato attraverso forniture di mezzi e addestramento per le guardie costiere libiche, oltre alla creazione di una zona Sar (Search and Rescue) libica che ha formalizzato il trasferimento di responsabilità nel coordinamento dei salvataggi. Tuttavia, rapporti dell’Onu e di varie organizzazioni denunciano come queste operazioni siano frequentemente orchestrate da milizie coinvolte nel traffico di esseri umani.
Tunisia: un nuovo modello di esternalizzazione
Anche la Tunisia, destinataria di 105 milioni di euro nell’ambito di un memorandum d’intesa firmato nel 2023, è protagonista di una crisi umanitaria aggravata dal coinvolgimento europeo. Nonostante il paese abbia ratificato la Convenzione sui rifugiati del 1951, non esiste un sistema di asilo funzionante e i migranti affrontano discriminazioni, violenze e deportazioni collettive. Gli accordi con l’Ue hanno contribuito a consolidare una zona Sar tunisina nel 2024, replicando il fallimento già visto in Libia.
Secondo Sos Humanity, l’Unione ha inoltre chiuso gli occhi sulle segnalazioni di collusione tra forze di sicurezza tunisine e trafficanti di esseri umani. Episodi documentati includono l’uso di gas lacrimogeni, violenze fisiche e manovre pericolose in mare, che hanno messo a rischio la vita di persone già vulnerabili.
L’esperimento albanese: una svolta pericolosa
Il recente accordo tra Italia e Albania segna un ulteriore passo nella strategia di esternalizzazione. Dal 2024, le persone salvate in mare e considerate “non bisognose di protezione” vengono trasferite nel porto albanese di Shengjin, dove le loro richieste di asilo sono esaminate sotto la legislazione italiana. Questo sistema, che costa 653 milioni di euro in cinque anni, solleva gravi preoccupazioni legali: le corti italiane hanno già giudicato il trattamento dei primi 19 rifugiati come contrario al diritto internazionale, ordinandone il trasferimento in Italia.
Un costo morale insostenibile
Dietro la logica dell’esternalizzazione si cela un progetto che mina i fondamenti del sistema internazionale di protezione dei rifugiati. Il prezzo di 327,7 milioni di euro non si misura solo in termini economici: è un costo morale che l’Europa paga sostenendo pratiche che violano la dignità umana. La narrazione di un continente impegnato nella difesa dei diritti umani si frantuma di fronte alle testimonianze di violenze, torture e morte nelle zone finanziate dall’Ue.
Sos Humanity invita a una riflessione urgente: è possibile conciliare sicurezza e umanità senza tradire i valori fondanti dell’Europa? La risposta, per ora, resta tragicamente sospesa tra i numeri di bilancio e le storie di chi quei numeri li vive sulla propria pelle.