Altro bavaglio alla stampa: divieto di pubblicazione per interdittive e sequestri

Altro bavaglio alla stampa: le destre vogliono estendere il divieto di pubblicazione a tutti gli atti di custodia cautelare.

Altro bavaglio alla stampa: divieto di pubblicazione per interdittive e sequestri

Un altro bavaglio. Ancora più stretto. L’obiettivo è chiaro: vietare alla stampa di pubblicare gli atti delle indagini. E, più nello specifico, gli atti di custodia cautelare. Il governo sta lavorando a un decreto legislativo il cui obiettivo è quello di estendere il divieto di pubblicazione degli atti. Il provvedimento potrebbe approdare in Consiglio dei ministri il 9 dicembre e conterrebbe una stretta più ampia di quella prevista nel decreto legislativo approvato a settembre, che vieta la pubblicazione, integrale o di estratti, degli atti di custodia cautelare così come riportati esattamente nei documenti.

Questo divieto potrebbe essere esteso includendo tutti gli atti, come misure cautelari personali, carcere, interdittive e sequestri. La notizia è stata anticipata ieri dal Messaggero e dal Fatto Quotidiano, che parlano di divieto categorico per i giornalisti di pubblicare gli atti d’indagine. Quindi non sarà più possibile riportare nessuna ordinanza di misura cautelare. Senza eccezioni.

Un bavaglio dietro l’altro, l’iter della nuova stretta

Il bavaglio, insomma, si allarga. La legge che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare nasce da un emendamento presentato dal deputato Enrico Costa. Una norma già allora ribattezzata bavaglio. A settembre il Consiglio dei ministri aveva approvato un primo decreto legislativo, ma poi le commissioni Giustizia di Camera e Senato hanno chiesto al governo di estendere il divieto a tutte le ordinanze di custodia cautelare, oltre a quelle di sequestro.

Il nuovo testo, pronto ad approdare in Cdm la prossima settimana, non prevede però sanzioni per i giornalisti che violano i divieti, contrariamente a quanto chiesto dalle commissioni. Nella legge delega, infatti, i parlamentari avevano votato a favore di multe ingenti: proposta sostenuta dal centrodestra e anche da Italia Viva. A pagare sarebbero stati gli editori, con una norma sulla responsabilità penale delle aziende che prevedeva multe tra i 25mila e i 550mila euro. Ma l’ultima versione del decreto legislativo, ancora solo una bozza, non sembra prevedere queste sanzioni.

L’accelerata del governo

La decisione di accelerare, spiega il Fatto, è stata presa negli ultimi giorni. Lunedì il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ne avrebbe parlato in una riunione con i suoi sottosegretari, anche in vista della scadenza della legge delega. Ma c’è una motivazione anche politica, che deriva dalla vicenda che ha riguardato l’ex presidente della Liguria, Giovanni Toti. L’inchiesta che ha terremotato la Regione lo ha portato agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione e l’ordinanza di custodia cautelare è stata pubblicata da diversi giornali. Un fatto che ha scosso la maggioranza, che ha temuto anche per le successive elezioni regionali, poi comunque vinte.

L’intenzione, quindi, è quella di estendere il divieto di pubblicazione degli atti a tutte le misure cautelari, per evitare un nuovo caso Toti. Un vero e proprio bavaglio per la stampa, che non avrebbe più modo di riportare informazioni fondamentali in caso di inchieste giudiziarie. Salvaguardando, invece, la politica in caso di inchieste che riguardano in prima persona presidenti, sindaci, ministri e qualsiasi altra carica.

Fermata, almeno per il momento, l’applicazione delle sanzioni. Il governo sembra intenzionato ad accantonare l’ipotesi delle multe sia per non sembrare in guerra aperta con i giornalisti, sia perché – questa la motivazione ufficiale – la norma andrebbe oltre i confini della legge delega. Eppure già si pensa di far rientrare le multe nel disegno di legge sulla diffamazione ora fermo al Senato. Insomma, la guerra alla libera stampa è sempre in piedi.