Siamo alle solite. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nasceva come una promessa: ridare slancio alle grandi opere italiane e colmare i divari territoriali. Una partita decisiva, finanziata con risorse europee irripetibili. Oggi, però, i numeri e i fatti raccolti da Openpolis raccontano una storia molto meno entusiasmante. Finanziamenti ridotti, progetti in stallo e una trasparenza che vacilla.
Da 126 miliardi a 82: il taglio ai finanziamenti del Pnrr
Partiamo dai numeri: il valore complessivo delle opere strategiche previste dal Pnrr è passato da 126 miliardi di euro a 82,8. Perché? Il governo ha deciso di ridimensionare il piano, tagliando fuori i progetti che non possono essere completati entro il 2026, scadenza imposta dall’Unione europea. Dei fondi rimasti, solo 27,1 miliardi provengono direttamente dal Pnrr, mentre altri 16,2 sono coperti dal Piano nazionale complementare (Pnc). E gli altri progetti? Definanziati, con la promessa – tutta da verificare – di recuperarli attraverso altre risorse.
La revisione ha sollevato più di un dubbio: quali sono le opere che realmente verranno portate a termine? A quali si rinuncia? Finora, le risposte mancano.
Un altro dato chiave arriva dall’analisi dello stato di avanzamento dei progetti. Formalmente, l’81,3% del valore delle opere risulta “avviato”. Ma attenzione: avviare un progetto non significa avviare un cantiere. Molte delle opere incluse in questa percentuale sono ancora in fase di progettazione o gara d’appalto. Le ruspe, nella maggior parte dei casi, non si vedono ancora.
Il Sud, ancora una volta, paga il prezzo più alto. Doveva essere la grande occasione per colmare il divario infrastrutturale con il Nord, ma il Mezzogiorno è rimasto indietro. Le opere promesse tardano a partire e, senza un’accelerazione significativa, difficilmente saranno completate nei tempi richiesti dall’Europa.
Il nodo della trasparenza
Se a questo quadro si aggiunge la difficoltà di monitorare i progetti, il problema diventa ancora più grave. La piattaforma “Italia Domani” dovrebbe servire a garantire trasparenza e accesso alle informazioni. Ma i dati disponibili sono lacunosi. Al 31 dicembre 2021, erano consultabili informazioni dettagliate su 5.246 progetti, contro i 73.000 annunciati dal governo Draghi nella seconda relazione al Parlamento. Una discrepanza che solleva interrogativi sulla reale capacità di controllo e supervisione.
La scadenza del 2026 rappresenta un’altra spada di Damocle. I fondi europei devono essere utilizzati entro quella data, pena la loro perdita. Questo lascia pochissimo margine per errori o ritardi. Progetti già finanziati potrebbero non essere completati in tempo, e le opere escluse dal Pnrr rischiano di rimanere nei cassetti.
I numeri non mentono: tagliare quasi 50 miliardi di euro significa ridurre drasticamente le ambizioni. Lasciare i cantieri fermi, soprattutto al Sud, vuol dire tradire la promessa di un Paese più coeso. E ignorare il problema della trasparenza significa alimentare il sospetto che le risorse non vengano utilizzate al meglio.
Il Pnrr era un’occasione unica. Il tempo stringe, e la sensazione è che ci si stia muovendo troppo lentamente nonostante il taglio delle ambizioni. Il governo insiste con gli euforici annunci, evitando accuratamente le conferenze stampa. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni tre giorni fa ha parlato di “Italia davanti a tutti” nella realizzazione del Piano. È magia finanziaria: restringere gli obiettivi in corsa per dare l’illusione dell’avanzamento.
E chissà che ne dicono a Bruxelles, che ne pensa von der Leyen di un ex ministro al nostro Pnrr opaco e zoppicante che ora è stato promosso vice presidente della Commissione europea: Raffaele Fitto.