Sanità, Italia spaccata in due: dagli ospedali alle Asl, il Nord fa il pieno di eccellenze

Gli ospedali migliori? Al Nord. E le Asl più funzionanti? Sempre al Nord. A sancire che l'Italia è spaccata in due, la classifica Agenas.

Sanità, Italia spaccata in due: dagli ospedali alle Asl, il Nord fa il pieno di eccellenze

Le Asl migliori? Al Nord Italia. E invece dove sono gli ospedali migliori? Sempre al Nord… A certificare una verità che non è certo un mistero (tranne forse per il papà dell’Autonomia differenziata, Roberto Calderoli), l’Agenzia nazionale della Sanità (Agenas), che ieri ha presentato al Forum Risk management di Arezzo i dati aggiornati al 2023 del modello di valutazione della performance manageriale delle aziende sanitarie pubbliche, ospedaliere e territoriali.

Asl: le migliori e le peggiori

Secondo la classifica le prime cinque Aziende sanitarie territoriali pubbliche che registrano i migliori livelli di performance in Italia si trovano tutte nel ricco Nord e sono: l’Azienda Ulss n.8 Berica (Vicenza), Ats di Bergamo, Azienda Ulss n.6 Euganea (Padova), Azienda Ulss n.1 Dolomiti e l’Azienda Usl di Bologna. Le “meno performanti” (eufemismo per dire molto poco funzionanti…) risultano essere Asl Napoli 1 Centro, Asp di Crotone, Asl di Matera, Asp di Enna e Asp di Vibo Valentia.

Il monitoraggio ha preso in esame tutte le 110 Aziende sanitarie territoriali italiane e si è basato sulla valutazione di 34 indicatori in 6 aree (prevenzione, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera, sostenibilità economico-patrimoniale, esito). Il risultato del mix di tutte le aree analizzate, osserva Agenas, ha portato “all’individuazione di 27 aziende con una valutazione complessiva buona, 53 con valutazione intermedia e 30 con una valutazione migliorabile”.

Prevenzione: molto bene al Nord, male al Sud

Rispetto all’area della prevenzione, in particolare, si legge nel rapporto, “la valutazione degli indicatori sulle percentuali di screening (mammella, cervice, colon) eseguiti sulla popolazione target, evidenzia come le Asl delle regioni del Nord-est registrano un livello alto/molto alto di screening eseguiti rispetto alle Asl delle regioni del centro e del sud che presentano mediamente valori bassi”.

Rispetto al parametro dell’assistenza distrettuale, la valutazione degli indicatori (dotazione dei servizi territoriali; cure primarie; presa in carico del territorio; ospedalizzazioni evitabili e il consumo di prestazioni di specialistica ambulatoriale) indica invece che la situazione risulta essere molto più omogenea a livello nazionale con la maggioranza delle Asl che risulta avere un livello di performance medio.

Idem per gli ospedali migliori: 3 strutture su 5 sono al Nord

Discorso simile per quanto riguarda gli ospedali, anche se qui il Centro-Sud si prende una piccola rivincita, piazzando due strutture tra le prime cinque. Il miglior ospedale d’Italia è, per Agenas, l’Azienda ospedaliera Ao Santa Croce e Carle di Cneo, seguito dall’Aou Padova, dal Policlinico Tor Vergata e dal Sant’Andrea, entrambi di Roma.

Per questa analisi, che ha considerato tutte le 51 Aziende ospedaliere presenti sul territorio, tranne gli Irccs e le aziende mono specialistiche, sono state prese in esame 4 macro-aree (accessibilità, processi organizzativi, sostenibilità economico-patrimoniale, investimenti).

Il risultato recita: 13 aziende con una valutazione complessiva buona, 25 con valutazione intermedia e 13 con una valutazione migliorabile. In questa classifica, l’unica “soddisfazione” il Sud se la prende nell’Area investimenti, dove gli ospedali hanno registrato le performance migliori, in particolare in Campania, dove tutte le aziende raggiungono un buon punteggio di performance, con una punta di eccellenza in un’azienda del Lazio.

Per il direttore di Agenas, Mantoan, manca la medicina di prossimità

Fin qui i freddi numeri delle strutture. Resta però il nodo irrisolto della medicina di prossimità, segno tangibile che la pandemia ha insegnato poco o nulla. Come ha sottolineato il direttore generale di Agenas Domenico Mantoan (manager proveniente dal Veneto, cioè da una delle regioni che, insieme alla Lombardia, ha privatizzato maggiormente la Salute). “Il sistema ospedaliero italiano è un sistema che, al netto di qualche caso da migliorare, regge il Servizio sanitario italiano. Oggi gli ospedali stanno facendo il loro lavoro alla grande, compresi i Pronto Soccorso. Se oggi abbiamo 25 milioni di accessi al Pronto Soccorso è perché il cittadino non trova risposte sul territorio”, ha detto il direttore generale.

“O ci sbrighiamo creando un nuovo modello di cure primarie o abbandoniamo questa strada e triplichiamo i Pronto Soccorso, perché al cittadino bisogna dare una risposta”, ha aggiunto.

Il problema sono i medici di famiglia, dice il dg

In particolare Mantoan ha attaccato il modello organizzativo della medicina generale: “La definizione di cure primarie data dall’Oms nella dichiarazione di Alma Ata nel 1978 è quella di primo accesso del cittadino al sistema sanitario del suo Paese. Il nostro primo accesso al sistema sanitario è rappresentato dal medico di medicina generale”, ha spiegato. “Per esempio, all’articolo 35 dell’Accordo collettivo nazionale dei medici di famiglia c’è scritto che il medico di medicina generale riceve per appuntamento. Dunque, da una parte si fa programmazione, dall’altra ci sono contratti di lavoro di questo tipo…”, ha concluso. Una posizione che non farà certo piacere ai medici di famiglia.