In Africa, l’esodo cresce silenziosamente. Sono 35 milioni le persone sfollate all’interno del continente, una cifra che in quindici anni si è triplicata. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), quasi metà di loro sono state costrette ad abbandonare la propria casa a causa dei disastri climatici, mentre l’altra metà fugge da conflitti sempre più violenti. Dietro ogni cifra, vite sospese, raccolti perduti, villaggi ridotti a macerie.
Disastri climatici e conflitti: le radici della crisi africana
Il Burkina Faso è un caso emblematico: una nazione assediata da jihadisti, mercenari, conflitti interetnici e un regime militare che alterna propaganda e repressione. In soli sei anni, il numero degli sfollati interni è passato da 50.000 a oltre 2 milioni. Un boom esplosivo che rende il paese l’epicentro della crisi di sfollamento più ignorata al mondo. Le immagini dei campi profughi vicino a Ouagadougou ritraggono bambini malnutriti e donne anziane accovacciate accanto a ciò che resta della loro vita. Non c’è spazio per retorica: solo disperazione.
Ma non è tutto. Inondazioni e siccità, amplificate dai cambiamenti climatici, stanno riscrivendo la geografia umana del continente. Il lago Ciad, che nutre milioni di persone, si è ridotto del 90% in pochi decenni. La desertificazione avanza, rosicchiando ettari di terra coltivabile ogni anno. Il rapporto IDMC parla chiaro: nel solo 2023, 4,2 milioni di nuovi sfollati in Africa sono stati causati da eventi climatici estremi. La crisi climatica non è una minaccia futura: qui è il presente, brutale e inarrestabile.
I numeri, per quanto agghiaccianti, non raccontano tutto. I governi africani, spesso alle prese con economie fragili e conflitti interni, faticano a fornire assistenza. L’aiuto internazionale, quando arriva, è tardivo e insufficiente. Nel Burkina Faso, ad esempio, l’UNHCR denuncia una grave carenza di fondi: meno del 30% delle risorse necessarie è stato garantito nel 2024. La mancanza di attenzione mediatica amplifica il problema. In una crisi in cui l’Africa è sia vittima che simbolo globale, l’indifferenza è la ferita più profonda.
Il paradosso si consuma nei salotti occidentali. Gli stessi che alzano muri contro le persone migranti e invocano politiche di chiusura, spesso negano l’esistenza della crisi climatica. La stessa crisi che, dati alla mano, è uno dei motori principali degli spostamenti forzati. Alexandra Bilak, direttrice dell’IDMC, l’ha detto chiaramente: “Queste emergenze sono un campanello d’allarme per il mondo. Eppure, sembrano cadere nel vuoto”.
Non c’è spazio per negazionismi quando il clima si fa violento e gli uomini lo seguono. Non si può ignorare che i 35 milioni di sfollati interni africani siano un prodotto di un sistema globale incapace di affrontare le sue responsabilità. Gli stessi muri eretti in Europa e altrove sono il simbolo di un fallimento globale: bloccare le persone in fuga non risolve il problema, lo trasforma in una catastrofe silenziosa.
Indifferenza globale e muri: il fallimento di fronte all’esodo
La domanda non è se, ma quando l’Africa presenterà il conto. Un conto che sarà salato per chi ha scelto di ignorare le radici del problema, fingendo che basti tenere lontani gli effetti per sottrarsi alle cause. I numeri continuano a crescere, e con loro la vergogna di un mondo che preferisce voltarsi dall’altra parte.
Non servono fantomatici Piani Mattei se non ci si rende conto che il continente è schiacciato dalle pressioni della fame, delle guerre e del cambiamento climatico. Non verrà mai nulla di buono da un visione distorta della crisi climatica e del diritto delle persone di portarsi in salvo. Le migrazioni interne in Africa sono l’antipasto delle persone che per sfuggire al collo dell’imbuto si imbarcheranno verso l’Europa.