Le vie della politica, come quelle del Signore, sono infinite. E che il lupo perdesse al massimo il pelo, ma non il vizio, lo avevamo detto sulle colonne di questo giornale, il 18 maggio scorso, quando le prime avvisaglie erano sotto gli occhi di tutti. Nonostante le inchieste di Mani Pulite abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il finanziamento pubblico non sia un antidoto alla corruzione, ribaltando il teorema, i partiti c’hanno riprovato.
Più soldi ai partiti, il Colle stoppa il blitz
Ed è stato solo grazie all’intervento del Colle, che il blitz andato ieri in scena al Senato per (quasi) raddoppiare il finanziamento ai partiti è stato stoppato quando l’obiettivo sembrava praticamente già raggiunto. Era del resto da mesi, mentre l’ultima ondata di scandali che dalla Sicilia alla Liguria riempiva le cronache dei giornali, che il partito trasversale di chi punta a riaprire la borsa alla politica come unico rimedio contro il malaffare, era tornato ad alzare la voce.
“La democrazia ha un costo (…) abbiamo visto tutti cosa è successo in Liguria, coi finanziamenti privati senza regole”, avvertiva la dem Chiara Gribaudo (Repubblica). “Quando ero giovane ero contrario al finanziamento pubblico però se adesso andiamo a vedere la politica ha un costo (…)”, le faceva eco il leader di Forza Italia, Antonio Tajani. “Se vogliamo rendere la politica meno condizionabile io non vedo altra via”, si era aggiunto al coro il leghista, Andrea Crippa (Huffington Post).
Più soldi ai partiti, calpestata la volontà popolare
E il referendum del 1993, che aveva chiuso i rubinetti alla politica con il 90,25% dei consensi? Consegnato subito alla storia. Messo alla porta dagli italiani, il finanziamento pubblico rientrò dalla finestra sotto forma di rimborsi elettorali. Una palese violazione della volontà popolare, destinata a protrarsi fino alla mannaia del governo Monti (2012) e al colpo di grazia sferrato da Letta (nel 2013), che lasciò ai partiti le briciole delle donazioni private. Finché ieri due emendamenti di Pd e Avs al decreto Fiscale (che chiedevano di aumentare di 3 milioni le risorse per il 2024) sono stati riformulati (e stravolti) dal governo, modificando radicalmente il meccanismo del due per mille attualmente vigente.
L’obiettivo – bloccato per ora dal Colle e duramente criticato dai Cinque Stelle – era ridurre l’aliquota dal 2 allo 0,2 per mille, ma calcolandola sull’intero gettito Irpef, quindi anche sulla quota inoptata (oggi destinata allo Stato) dai contribuenti. Facendo lievitare la torta dai circa 25 milioni di euro destinati dagli italiani alle forze politiche con le ultime dichiarazioni dei redditi, ad oltre 40 milioni. Risultato: anche il contribuente che scegliesse di non destinare nulla ad alcun partito, si ritroverebbe a finanziare comunque le forze politiche con una sorta di prelievo forzoso. E poi si stupiscono se l’astensionismo dilaga.