Passano i giorni, ma non accenna a diminuire il surreale dibattito scaturito dalla richiesta di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità, formulata dalla Corte Penale Internazionale (Cpi), nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. Una richiesta che, secondo Tel Aviv, denota un presunto “antisemitismo” da parte dei giudici, sebbene riguardi anche il leader di Hamas, Mohammed Deif, che sarebbe stato ucciso dall’esercito israeliano durante un raid a luglio, e altri suoi sottoposti.
Se la posizione del governo dello Stato ebraico appare comprensibile, risulta molto meno chiaro l’atteggiamento attendista – per non dire dubbioso circa l’opportunità di applicare quanto richiesto dalla Cpi – del G7 e soprattutto di numerosi leader europei di Paesi che, è bene ricordarlo, hanno sottoscritto il trattato istitutivo della Corte. Per gli Stati Uniti di Joe Biden, che non li hanno sottoscritto, al pari di Israele, è nota la ferma opposizione all’esecuzione di mandati d’arresto giudicati “sbagliati e illegittimi”.
Tale linea, con ogni probabilità, non cambierà neppure con l’avvento di Donald Trump, il quale paventa addirittura “sanzioni contro i giudici dell’Aia”. Tuttavia, appare del tutto incomprensibile l’atteggiamento di tanti Paesi dell’Ue che, anziché fare fronte comune per richiedere il rispetto dei trattati internazionali, si stanno dividendo tra favorevoli e contrari.
La posizione dell’Italia
Tra i primi spiccano Belgio, Svezia, Irlanda e Norvegia, che hanno già ribadito l’importanza della lotta all’impunità e la loro intenzione di sostenere pienamente le decisioni della Corte. Più ambigua e sfumata è invece la posizione della Francia di Emmanuel Macron e del Regno Unito di Keir Starmer. Pur avendo dichiarato di rispettare la CPI, non hanno confermato se arresteranno Netanyahu e Gallant qualora si presentassero nei loro Paesi.
In Italia, regna la confusione: il ministro della Difesa, Guido Crosetto, pur ritenendo la decisione dei giudici sbagliata, ha dichiarato che Roma deve dare seguito alla sentenza; mentre il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, continua a ripetere che “bisogna discuterne con gli alleati”.
Come riferito nei giorni scorsi da Tajani, la crisi mediorientale “non si risolverà di certo con il mandato di arresto per Netanyahu” e, anzi, così potrebbe addirittura aggravarsi.
Mandato di arresto per Netanyahu, dal G7 solo parole vaghe. E Borrell perde la pazienza
Ma non è tutto. Il titolare della Farnesina aveva auspicato nei giorni scorsi una “posizione comune” da parte dei sette Paesi più industrializzati del mondo, ma questa, come prevedibile, si è limitata a dichiarazioni vaghe. Infatti nelle conclusioni del G7 si legge che “nell’esercizio del suo diritto di difendersi, Israele deve rispettare i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale in tutte le circostanze, incluso il diritto umanitario. Ribadiamo il nostro impegno nei confronti del diritto internazionale umanitario e rispetteremo i nostri rispettivi obblighi”, con parole che sembrano alludere al rispetto della decisione della Corte, salvo aggiungere che in ogni caso “non può esserci equivalenza tra il gruppo terroristico Hamas e Israele”.
La posizione morbida del G7 non è piaciuta al commissario Ue, Josep Borrell: “Voglio essere chiaro: non c’è alternativa all’esecuzione del mandato di arresto. Spero che alla fine saremo in grado di affermare chiaramente che gli europei rispetteranno gli obblighi del diritto internazionale. Gli Stati Uniti faranno ciò che vogliono”. Poi ha aggiunto: “Gli europei devono seguire e applicare le decisioni della Corte: non è qualcosa che si può scegliere di fare quando si tratta di Putin e ignorare quando riguarda Netanyahu”.