A meno di 24 ore di distanza dal “proficuo incontro”, come recitava il testo diramato da palazzo Chigi a proposito del vertice di centrodestra di domenica, scoppia al Senato la rissa in maggioranza sul decreto fiscale collegato alla Manovra.
Oggetto del contendere il canone Rai. La Lega insiste per tagliarlo e ha inserito un emendamento al decreto in questione in tal senso. Forza Italia è assolutamente contraria perché teme un danno a Mediaset: meno canone, più pubblicità per la Rai. Ed ecco gli azzurri che chiedono alla Lega di ritirare la proposta di modifica e la Lega che punta i piedi.
Lo sfogo del leghista Garavaglia contrp FI e FdI
Emblematico lo sfogo di Massimo Garavaglia. “C’è una sensazione strana. C’è una pervicacia da parte di Fratelli d’Italia nell’attaccare la Regione Lombardia sulla sanità” con emendamenti che “fanno danno alla Regione Lombardia”.
E da parte di Forza Italia c’è la stessa pervicacia ad “attaccare la Regione Lombardia sul trasporto pubblico locale. Ma non capisco perché, governiamo insieme”, ha detto il presidente leghista della commissione Finanze di Palazzo Madama.
Quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, torna in Senato, dopo il Cdm, senza una risposta definitiva sul canone Rai, si apre una riunione di maggioranza e la chiusura slitta almeno di un giorno: “Sul Canone adesso discutiamo in maggioranza e vediamo quando e come affrontarlo”, ma “cerchiamo di risolverla qua” nel dl fisco. Sul taglio dubbi anche da FdI, ché teme poi FI possa alzare la posta su altri fronti.
D’altronde sul tema in mattinata Giancarlo Giorgetti rimaneva vago. “Gli incarichi difficili – ha commentato il ministro leghista dell’Economia – sono sempre quelli del ministero dell’Economia e delle Finanze”.
Le destre si fanno beffa del ceto medio con la riforma Irpef
Forza Italia scalcia anche per ottenere nella legge di Bilancio un ulteriore taglio dell’Irpef e non si accorge, o fa finta di non accorgersene, che il ceto medio, a cui vorrebbe destinare qualche beneficio fiscale, in realtà è stato già beffato da questa terza Manovra del governo di cui fa parte.
“Nonostante la riduzione del numero di aliquote legali disposta con il decreto attuativo della delega, il numero delle aliquote marginali effettive aumenta, passando da 4 a 7, e il loro andamento risulta più irregolare, con valori che raggiungono il 50% per i redditi compresi tra 32.000 e 40.000 euro”, ha rilevato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio nel documento dell’audizione sulla Manovra del 5 novembre scorso, analizzando il nuovo disegno dell’Irpef con il bonus di sostegno al reddito.
La Repubblica ha rilanciato i rilievi dell’Upb dimostrando come il ceto medio venga beffato dalle destre. La tabella inserita nel documento riassume le aliquote marginali prima e dopo la riforma (per lavoratore dipendente senza carichi familiari) e si vede come nella fascia di reddito tra 32.000 e 40.000 euro l’aliquota marginale sale con la riforma al 56%, mentre a legislazione vigente risulta appena sotto il 45%.
Tra 28.000 e 32.000 euro, e sopra 40.000, l’aliquota marginale dopo la riforma si colloca poco sotto il 45%. Tra 20.000 e 28.000 sopra il 30% e tra 15.000 e 20.000 intorno al 27%: per entrambe le fasce meno quindi del 35% a legislazione vigente. Tra 8.500 e 15.000 scende a circa il 18% (da circa 23%).
“Tale evoluzione – osserva l’Upb – sembra discostarsi dai principi della legge delega, che indicava come obiettivi la transizione verso un’aliquota impositiva unica e la razionalizzazione e semplificazione complessiva del sistema”.
“Il combinato effetto del taglio del cuneo, detrazioni e tagli fiscali contenuti nella manovra economica 2025 porta vantaggi economici incontrovertibili su tutti i redditi fino a 40mila euro”, replica il ministero dell’Economia.