La diplomazia, si sa, è una parola che può riempire la bocca o svuotare il senso. Ora, con Donald Trump che si prepara a fare il suo ingresso trionfale alla Casa Bianca, l’Unione europea si ritrova di fronte alla più grande delle sue ipocrisie: quella di aver raccontato per anni che la guerra in Ucraina si poteva vincere. Una vittoria netta, dicono i documenti ufficiali. Una vittoria totale, suggeriva la retorica. E invece ora, senza più il paracadute statunitense, l’Europa deve scegliere tra due parole che fanno tremare Bruxelles: trattare o mollare.
Joe Biden, con il tempismo incerto che lo ha contraddistinto, lascia la scena con un “regalo d’addio” che somiglia più a un contentino: via libera ai missili a lungo raggio, giusto in tempo per Zelensky e i suoi a tentare di fermare la nuova alleanza tra Mosca e Pyongyang. Ma la mossa non cambia i termini della questione: Trump lo ha detto e lo farà. Basta armi. Basta soldi. Basta Ucraina. L’America torna a casa, e il resto del mondo si arrangi.
L’addio di Biden e l’incognita Trump: chi sosterrà l’Ucraina?
Il resto del mondo, però, è l’Unione europea, che nel frattempo gioca con se stessa una partita tragicomica. C’è Olaf Scholz che telefona a Putin – primo contatto diretto in due anni – come a dire “proviamo a vedere se lo convinciamo”. Lo fa da solo, senza nemmeno avvisare Macron, gli inglesi o i polacchi, e il risultato è una linea di propaganda che si scrive da sé: la Germania, accusata di essere lenta, pavida e indecisa, decide di agire, ma senza coordinarsi. Zelensky, dal canto suo, liquida Scholz con poche parole: “Un vaso di Pandora”. Donald Tusk, premier polacco, ci mette il carico: “Putin non lo fermi con una telefonata”.
Nel frattempo, a Varsavia si riuniscono i ministri europei in un “Weimar Plus” che dovrebbe stabilire una linea comune sul futuro dell’Ucraina. Ma la verità è che nessuno vuole dirlo ad alta voce: se Trump taglierà i fondi americani, la macchina bellica ucraina resterà senza benzina. Josep Borrell, l’alto rappresentante per la politica estera Ue, è forse l’unico a osare qualche verità: senza gli Stati Uniti, l’Europa dovrà mettere mano al portafogli in modo mai visto prima. Non solo per armi, ma per la ricostruzione di un paese devastato, un progetto che secondo alcune stime costerà fino a mille miliardi di euro.
E allora, dove sono le decisioni forti? La Germania aumenta le sue spese militari, certo, ma dal ridicolo 1,15% al timido 1,3% del Pil. Si promettono missili, ma non quelli decisivi. Si parla di sanzioni, ma il gas naturale liquefatto russo continua a riempire i depositi europei. Intanto, a Kyiv, l’inverno arriva accompagnato da 120 missili e 90 droni che Putin usa per bucare il sistema energetico ucraino. Una delle peggiori offensive aeree dall’inizio della guerra. Ma Olaf Scholz vuole parlare.
Un’Europa divisa tra diplomazia e debolezza strategica
La verità, velenosa ma evidente, è che l’Europa non è pronta. Lo dice Borrell, lo dicono i numeri, lo sussurrano persino i diplomatici a microfoni spenti. Per anni, l’UE ha nascosto sotto la coperta della Nato la propria incapacità di agire in autonomia. Ora quella coperta si ritira, e l’Europa si scopre nuda, divisa e spaventata.
Ci sarà tempo per i bilanci, ma una cosa è chiara: l’Unione Europea ha una sola opzione rimasta. Non sarà più sufficiente sostenere l’Ucraina con il briciolo di coraggio necessario per non irritare Putin. Se davvero si crede a quel mantra europeo, “niente Ucraina senza Ucraina”, è ora di metterlo in pratica. E questo significa accettare il costo, la responsabilità e il rischio. Trump o non Trump.
L’invasione russa del febbraio 2022 due anni e mezzo dopo torna al punto di partenza. Le strategie di chi urlava “à la guerre comme à la guerre” si sono rivelate sbagliate. Ora si comincia da capo, C’è in più qualche milioni di sfollati, ci sono in più un milione di vittime tra morti e feriti.