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Contratto metalmeccanici, il dovere di intervenire del governo

La trattativa sul contratto dei metalmeccanici mostra che il governo ha il dovere di calmare gli animi, vestendo i panni del mediatore.

Contratto metalmeccanici, il dovere di intervenire del governo

Magari fosse la “Partita del secolo”, quell’incredibile Italia-Germania 4-3 che si giocò allo stadio Azteca di Città del Messico il 17 giugno 1970. Oggi che la gara si disputa su tutt’altro terreno, quello del lavoro, il risultato è purtroppo a nostro sfavore. Uno 0-1 che difficilmente riusciremo a pareggiare prima del 90’. Parliamo, nello specifico, del contratto dei metalmeccanici. È di pochi giorni fa la notizia del rinnovo degli accordi dei lavoratori delle case automobilistiche e delle aziende metalmeccaniche tedesche, che coinvolge una platea di quasi 4 milioni di dipendenti di aziende come Bmw, Mercedes-Benz etc. – non Volkswagen che viaggia per conto proprio.

Alla fine, dopo le manifestazioni di protesta delle ultime settimane, i sindacati (che chiedevano aumenti del 7% di stipendio in 12 mesi) e i datori di lavoro (che proponevano invece incrementi del 3,6% spalmati su 27 mesi) sono giunti a un compromesso: le retribuzioni saliranno del 5,5% in 25 mesi. Il 2% scatterà ad aprile dell’anno prossimo mentre il resto arriverà dodici mesi più tardi. I lavoratori riceveranno pure un bonus una tantum di 600 euro oltre a una maggiore flessibilità sull’orario di lavoro. Poteva andare meglio, ma, viste le premesse, anche peggio. Nelle stesse ore, mentre “Mister X” Elon Musk attaccava i giudici italiani monopolizzando le prime pagine dei giornali, in Italia si rompeva il tavolo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, con Cgil, Cisl e Uil unite – almeno stavolta – nel proclamare 8 ore di sciopero in tutte le aziende del settore entro il 15 gennaio 2025 più il blocco del lavoro straordinario e delle flessibilità a decorrere da ieri, 15 novembre 2024. Che sarebbe andata così, del resto, era nell’aria da settimane. Il contratto, che riguarda più di 1,5 milioni di lavoratori, è scaduto a giugno ma gli otto incontri svoltisi da allora tra Fiom, Fim e Uilm da una parte e Federmeccanica e Assistal dall’altra non hanno portato a un accordo.

La parte datoriale ha respinto pressoché in blocco tutte le richieste delle sigle sindacali, racchiuse in una piattaforma unitaria che va dai 280 euro mensili in tre anni sui minimi per il livello medio alla riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali. Di contro, la triplice ha rispedito al mittente l’“offerta” di 173 euro in più in quattro anni. Con la crisi dell’automotive e dell’industria dell’acciaio, una produzione industriale in calo da 20 mesi di fila e il ricorso alla cassa integrazione in aumento, il governo ha il dovere di calmare gli animi, vestendo i panni del mediatore nel rispetto delle prerogative delle parti. Se non ora, quando?