Dopo oltre un anno di sanguinosa guerra in Medio Oriente, la comunità internazionale sembra sempre più convinta che il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, con la sua crociata, sia andato ben oltre il legittimo “diritto alla difesa”. A certificare ciò è l’ultimo report della Commissione speciale dell’Onu, che indaga sulla gestione del conflitto da parte dell’esercito dello Stato ebraico e afferma che la guerra nella Striscia di Gaza “è compatibile con le caratteristiche del genocidio,” con stragi di civili e condizioni di vita insostenibili imposte intenzionalmente dalle truppe israeliane ai palestinesi.
“Da Israele trasferimenti illegali e atrocità contro i palestinesi”. La Commissione speciale dell’Onu punta il dito su Netanyahu
Nel report, in cui ogni affermazione viene documentata con fatti accertati, si legge che “attraverso l’assedio su Gaza, l’ostruzione degli aiuti umanitari, gli attacchi mirati e l’uccisione di civili e operatori umanitari, nonostante i ripetuti appelli delle Nazioni Unite, gli ordini vincolanti della Corte internazionale di giustizia e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, Israele sta intenzionalmente causando morte, fame e gravi ferite, usando la fame come metodo di guerra e infliggendo punizioni collettive alla popolazione palestinese”. Inoltre, “dall’inizio della guerra, le autorità israeliane hanno pubblicamente sostenuto politiche che privano i palestinesi dei beni di prima necessità – cibo, acqua e carburante,” e “queste dichiarazioni, insieme all’interferenza sistematica e illegale negli aiuti umanitari, rendono chiaro l’intento di Israele di strumentalizzare forniture salvavita per ottenere vantaggi politici e militari”.
Questo documento dell’Onu trova riscontro anche nell’ultimo rapporto di Human Rights Watch (HRW), in cui si legge che le autorità israeliane hanno causato spostamenti forzati massicci e deliberati di palestinesi a Gaza, con atti che equivalgono a crimini di guerra, e “hanno distrutto la maggior parte delle infrastrutture idriche, igienico-sanitarie, di comunicazione, energetiche e di trasporto della Striscia di Gaza, così come le sue scuole e gli ospedali”.
Bruxelles valuta di interrompere gli accordi con Israele
Accuse gravi che il governo Netanyahu respinge come “attacchi gratuiti” o addirittura come fake news, avanzate da chi “tifa per i terroristi”. Una posizione insostenibile, che sta generando malumori soprattutto nell’Unione Europea, che, dopo una lunga impasse, sembra finalmente decisa a prendere posizione. Lo afferma l’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, che “ha presentato una proposta ai ministri Ue per discutere,” nel prossimo Consiglio degli affari esterni, “la possibilità di sospendere il dialogo politico” con Israele nell’ambito dell’accordo di associazione con l’Unione Europea.
Tuttavia, è difficile che queste intenzioni si traducano in azioni concrete, poiché, come spiega il portavoce dell’Ue, Peter Stano, “qualsiasi decisione riguardante le parti politiche di questo accordo richiede l’unanimità di tutti gli Stati membri”.
Lo spiraglio di pace
Quel che è certo è che Israele continua a combattere su più fronti. L’esercito dello Stato ebraico (IDF) ha bombardato i valichi di frontiera tra Libano e Siria, utilizzati da Hezbollah per introdurre armi nel Paese, arrivando a colpire persino la capitale siriana, Damasco, con missili che sono caduti nei pressi della sede delle Nazioni Unite, causando la morte di quattro civili siriani. Massicci bombardamenti – secondo l’IDF, sarebbero stati colpiti ben 100 obiettivi di Hamas e Hezbollah – tra la capitale libanese, Beirut, e diverse aree della Striscia di Gaza.
In sostanza, l’offensiva israeliana in queste ore sta subendo una forte accelerazione che non lascia presagire nulla di buono, specie alla luce delle minacce e controminacce scambiate tra Netanyahu e la Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei. Tuttavia, questa intensificazione dei raid in Libano, secondo quanto riferito dal Washington Post, potrebbe essere collegata all’intenzione di Netanyahu di spingere Hezbollah a capitolare, così da offrire un primo “regalo in politica estera alla nuova amministrazione americana di Donald Trump”, ottenendo in cambio il via libera a proseguire le operazioni a Gaza.