Quasi un decimo della popolazione. È allarme povertà assoluta in Italia, come sottolinea il 28esimo Rapporto sulla povertà della Caritas. Sono quasi 5,7 milioni le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, il 9,7% della popolazione. Dilaga il lavoro povero, con salari bassi e contratti atipici. E anche la crescita dell’economia e dell’occupazione non ha portato alcun effetto positivo. Anzi, l’emergenza si allarga al Nord Italia, con il numero di famiglie povere del settentrione che supera quello di Sud e Isole.
Al Nord questa cifra è raddoppiata in dieci anni, passando da 506mila a quasi un milione. Nelle altre zone è cresciuta, ma molto meno. L’incidenza resta comunque più alta al Sud. Nel 2023 la Caritas ha supportato quasi 270mila persone, il 12% delle famiglie in povertà assoluta (e in netto aumento rispetto al 2022). Nel frattempo è stato raggiunto il record storico di 2 milioni e 217mila famiglie in povertà (l’8,4% del totale), mentre i poveri sono 5 milioni e 694mila. La povertà, sottolinea il rapporto, è ereditaria, passa di generazione in generazione. E questo circolo vizioso è più alto in Italia che in Europa: peggio fanno solo Romania e Bulgaria. Ai massimi storici anche la povertà assoluta tra i minori, al 13,8%. In Italia ci sono 1 milione e 295mila bambini poveri. Un altro dramma è quello dei lavoratori poveri: sono l’8% degli occupati. Percentuale che sale al 16,5% per gli operai. Il lavoro, sottolinea la Caritas, “smette di essere fattore di tutela”.
Povertà assoluta da record, ma regna l’indifferenza
Di fronte a questa emergenza, però, il governo ha tagliato i sostegni. Con Assegno di inclusione e Supporto formazione lavoro (al posto del Reddito di cittadinanza) sono dimezzate le famiglie sostenute: da 1,36 milioni nel 2023 a meno di 700mila nel 2024. E in più ci sono 331mila famiglie esodate del Reddito: non si sa che fine hanno fatto tra domande non presentate e richieste respinte. Con le nuove misure sono più penalizzate le famiglie con un componente, residenti al Nord e in affitto. Proprio al 40% delle famiglie del Nord è stato tolto il sussidio.
Non va meglio per il Sfl, con un “impatto ridotto” per la platea ristretta e con percorsi “di breve durata, mediamente 3-4 mesi, insufficienti a garantire un effettivo reinserimento nel mercato del lavoro”. Caritas sottolinea quindi tre focus sulle mancate risposte al problema della povertà: quello sull’abitazione e sul diritto alla casa negato a tante famiglie, gli ostacoli per le misure alternative al carcere (con più detenuti che posti disponibili) e poi proprio le barriere che limitano la fruizione delle misure di reddito minimo, a partire appunto da Adi e Sfl.