La maggioranza degli italiani si oppone all’aumento delle spese militari e sostiene una tassa sugli extra-profitti delle aziende attive nel settore bellico. Lo rivela un sondaggio SWG per Greenpeace Italia, che conferma una tendenza già osservata nel gennaio 2023. Il 55% degli intervistati si dichiara contrario al piano del governo di incrementare il budget della Difesa fino al 2% del Pil entro il 2028, passando da 30 a circa 40 miliardi di euro. Solo il 23% approva questa proposta, mentre il 22% preferisce non esprimersi.
Spese militari, un budget miliardario che divide
Il sondaggio arriva a pochi giorni dalla trasmissione al Parlamento di una manovra di bilancio che aumenta il budget della Difesa e dal lancio della nuova campagna “Ferma il riarmo!” promossa da Greenpeace Italia, Fondazione PerugiAssisi, Rete Pace e Disarmo e Sbilanciamoci. I risultati mettono in luce un sentimento diffuso di insoddisfazione: il 65% degli italiani è favorevole a una tassa sugli extra-profitti delle aziende che traggono vantaggio dai conflitti e dalle crisi geopolitiche. Questi profitti straordinari, alimentati dall’invasione russa dell’Ucraina e dalle tensioni in Medio Oriente, appaiono come un’ingiustizia per molti cittadini, soprattutto in un contesto di sacrifici economici.
“Le cittadine e i cittadini italiani vogliono meno spese militari e più investimenti per il benessere collettivo”, afferma Sofia Basso di Greenpeace Italia. La preoccupazione è che il perseguimento dell’obiettivo del 2% del Pil per la Difesa possa compromettere settori essenziali come la sanità e il welfare. Questo scenario evidenzia una spaccatura tra le priorità governative e le aspettative della popolazione.
Il dissenso verso l’aumento delle spese militari non è isolato. Il 52% degli italiani si oppone anche a un incremento della spesa militare europea, promossa dalla Commissione Ue e dal nuovo commissario alla Difesa. Questa posizione riflette un desiderio di bilanciare le risorse pubbliche a favore di investimenti che migliorino la qualità della vita, anziché alimentare la macchina bellica.
L’idea di tassare gli extra-profitti delle aziende belliche raccoglie un consenso particolarmente forte tra gli over 55 e i residenti nel Nord-Est, con il 76% dei 55-64enni a favore. Tale misura viene percepita come un atto di equità: un modo per restituire alla collettività una parte dei guadagni generati da un settore che prospera in periodi di instabilità. I profitti delle aziende belliche sono visti come un simbolo di disuguaglianza, di un sistema che premia chi alimenta le tensioni mentre le famiglie fanno i conti con l’aumento del costo della vita.
Appelli per un cambio di rotta: il peso delle scelte economiche
Greenpeace e le organizzazioni della campagna “Ferma il riarmo!” chiedono una riduzione delle spese militari per destinare più fondi a salute, istruzione e sostenibilità ambientale. “È tempo che il governo riconosca che la corsa al riarmo rischia di portare al collasso il nostro sistema sociale”, conclude Basso. Questo grido d’allarme si colloca in un contesto in cui la sicurezza nazionale deve bilanciarsi con le esigenze della società civile, che chiede servizi migliori e una maggiore protezione sociale.
Il risultato è lineare: gli italiani, spinti da una percezione di ingiustizia e dalla preoccupazione per il futuro, reclamano politiche che rispecchino i loro bisogni reali. Non si tratta solo di numeri e percentuali: è la storia di un popolo che, pur consapevole delle necessità di difesa, riconosce l’urgenza di un cambio di rotta. In questo contesto la proposta di tassare gli extra-profitti non è una provocazione ma un appello a una giustizia più alta, capace di sostenere le comunità e favorire un progresso condiviso. Una visione ben diversa da quella coltivata dal governo.