Viktor Orbán non ha mai nascosto la sua predilezione per Donald Trump. E questa settimana a Budapest, con il suono dei tappi di champagne che riecheggia nelle sale della politica europea, il primo ministro ungherese celebra la vittoria dell’ex presidente americano come un trionfo personale. Orbán, maestro di tempismo, aveva pianificato tutto. In un momento di disordine politico tra i tradizionali giganti dell’Ue come Francia e Germania, il premier ungherese si erge come la figura chiave di un blocco transatlantico che guarda con ammirazione all’America di Trump.
La scommessa su Trump e il nuovo asse sovranista
La scena è questa: 47 leader europei riuniti a Budapest per la Comunità Politica Europea, con Orbán al centro di un palcoscenico che sembra orchestrato per rafforzare la sua immagine di leader imprescindibile. Non è solo una questione di festeggiamenti; Orbán è pronto a sfruttare ogni occasione per consolidare la sua narrativa di “Rendere l’Europa di nuovo grande”, uno slogan che risuona come eco di quello trumpiano. E mentre l’Europa è costretta a confrontarsi con l’elezione di Trump e le sue implicazioni, Orbán si muove con l’agilità di un veterano del populismo.
Non è un mistero che l’elezione di Trump abbia scosso Bruxelles. I diplomatici europei sono già al lavoro, preoccupati per le minacce di nuove tariffe americane fino al 20% sulle importazioni. “La nostra reazione deve essere strategica”, ha dichiarato un diplomatico dell’UE a Politico, sottolineando l’importanza di un approccio ponderato che possa definire il tono delle relazioni future. Ma la sfida più grande è mantenere l’unità tra gli Stati membri, un obiettivo che rischia di sgretolarsi sotto il peso delle ambizioni individuali.
Nel frattempo, Giorgia Meloni osserva con attenzione. La premier italiana, accolta da Orbàn alla Puskas Arena con baciamo e foto di rito, è identificata come una figura capace di fungere da ponte tra le posizioni più rigide del blocco sovranista e le istituzioni europee, ancora fiduciose nella sua collaborazione. La sua alleanza ideologica con Trump e la vicinanza con figure come Elon Musk le conferiscono una posizione unica: abbastanza interna da dialogare con Ursula von der Leyen, ma sufficientemente allineata con le correnti più conservatrici per cavalcare l’onda populista. Orbán, però, ha ben altro in mente che un semplice brindisi.
Mentre Budapest è il centro delle celebrazioni, i segnali di allarme non mancano. Da una parte, la Commissione europea osserva preoccupata. Věra Jourová, vicepresidente uscente incaricata dei valori e della trasparenza, ha avvertito che i movimenti più conservatori vedranno rafforzata la loro influenza su temi come l’Ucraina, la migrazione e i diritti di genere. Il ritorno di Trump spiana la strada a una nuova era di tensioni, dove Orbán e i suoi alleati potrebbero spingere ulteriormente il dibattito verso una concezione di sovranità che minaccia l’equilibrio comunitario. Intanto il commissario ungherese designato Olivér Várhelyi che dovrebbe ottenere le deleghe per la Salute e il Benessere degli Animali è uno dei candidati più in bilico della nuova squadra di von der Leyen.
Orbán festeggia, tra brindisi e sondaggi in calo
Ma Orbán non è invulnerabile. Otto mesi dopo il lancio del partito Tisza, guidato dall’ex alleato e ora avversario Péter Magyar, i sondaggi indicano un sorpasso storico: il Tisza ha raggiunto il 46% delle intenzioni di voto, lasciando Fidesz al 39%. Non è un evento isolato; è il primo segnale in 18 anni di una possibile erosione del potere di Orbán.
Così la realtà domestica si intreccia con la dimensione internazionale. Mentre Orbán alza i calici, le sfide interne potrebbero minare la sua posizione proprio quando si sente più forte. E il gioco è tutto da scrivere: tra il rischio di nuove divisioni nell’UE e una crescente pressione sui leader europei per rafforzare la cooperazione difensiva e commerciale, il ritorno di Trump spinge ogni Paese a cercare una via di dialogo bilaterale con Washington. Come avverte Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga, questo potrebbe essere il preludio a una disintegrazione dell’unità europea.
Orbán brinda, l’Europa trattiene il fiato.