Le elezioni presidenziali statunitensi sono alle porte, e il clima è pensoso per l’Europa che osserva da lontano. I prossimi giorni definiranno non solo il futuro degli Stati Uniti ma anche la direzione verso cui si muoveranno le relazioni transatlantiche. L’Europa assiste, attenta e perplessa, mentre da una parte Kamala Harris e dall’altra Donald Trump si sfidano in un duello che sembra il culmine di due visioni del mondo inconciliabili. Eppure, ciò che emerge sotto il trambusto mediatico e la battaglia elettorale è un’inquietudine più profonda, quella di un’Europa sempre più consapevole di dover fare i conti con sé stessa, indipendentemente dall’esito.
Il rischio di una crisi costituzionale americana e l’Europa in allerta
Nelle ultime frenetiche ore di campagna elettorale Trump ha già suggerito che potrebbe non accettare una sconfitta e i segnali si fanno preoccupanti: il suo entourage si prepara a contestare i risultati, invocando il supporto dei legislatori repubblicani e dei rappresentanti nei singoli Stati. Si prefigura un copione già visto nel 2020, ma con una carica d’astio potenziata. La possibilità di una crisi costituzionale è concreta e per l’Europa sarebbe l’ennesima dimostrazione di un’America politicamente instabile, con un leader che, come sottolineato da Thierry Breton, potrebbe trascinare l’Occidente verso uno “choc mortale”.
Ma non è soltanto Trump a suscitare apprensione. Anche Kamala Harris non rappresenta una via d’uscita netta per l’Europa, poiché la sua posizione, pur distante dai toni di Trump, mantiene fermo il principio dell’“America First”, un imperativo che, sia per i democratici che per i repubblicani, resta indiscutibile. L’esperienza recente ci ha insegnato che Biden non ha esitato a prendere decisioni controverse come il ritiro dall’Afghanistan e l’introduzione dell’Inflation Reduction Act, lasciando l’Europa a confrontarsi con i suoi limiti strategici e le sue fragilità industriali.
La sfida dell’autonomia europea tra incognite e necessità
Mentre i sondaggi oscillano in stati chiave come Iowa e Pennsylvania, dando una sottile maggioranza a Harris in Iowa e Trump in lieve vantaggio in Pennsylvania, l’Europa inizia a riflettere seriamente sulla necessità di affermarsi come forza autonoma. L’avvertimento di Donald Tusk è chiaro: “L’era dell’outsourcing geopolitico è finita.” Tusk ha sottolineato come il destino dell’Europa dipenda soprattutto dalle sue scelte, e non solo dai risultati di un’elezione americana.
Il messaggio sembra trovare eco nelle parole di Emmanuel Macron, che da tempo insiste sulla necessità di un’Europa più indipendente, in grado di rispondere alle crisi internazionali senza dipendere dalla protezione statunitense. Ma la strada è tutt’altro che facile. Orbán, da Budapest, ospita il prossimo vertice europeo proprio nelle ore decisive per gli Stati Uniti, e non nasconde il proprio sostegno per Trump, mentre Germania e Francia faticano a trovare un punto d’accordo su quale direzione prendere.
La questione ucraina sarà uno dei primi test per questa presunta autonomia europea: una vittoria di Trump potrebbe mettere a rischio i fondi americani per l’Ucraina, obbligando l’Europa a confrontarsi con la propria capacità di sostenere Kiev da sola. L’ombra di una guerra commerciale con gli Stati Uniti è concreta, e le barriere potrebbero alzarsi ancora di più nel caso di un secondo mandato di Trump. Il timore di molti diplomatici è che Trump utilizzi la dipendenza dell’Europa dalla sicurezza americana come leva per estorcere concessioni commerciali, obbligando l’Ue a un allineamento sempre più scomodo con le sue politiche verso la Cina.
Qualunque sia il risultato delle elezioni, all’Europa si presenta una scelta inevitabile. Kamala Harris e Donald Trump incarnano due facce diverse ma con una medesima base protezionista che l’Europa non può più permettersi di ignorare.