Non è stato il sistema di sicurezza italiano ad essere impreparato a combattere le infiltrazioni degli hacker, sono stati bravi loro a farlo, perché sono partiti prima con le nuove tecnologie… Ma, state tranquilli, presto risolveremo il problema… È il sunto della risposta data ieri dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, interrogato durante il question time alla Camera dalla pentastellata Valentina D’Orso, sui gravissimi episodi di dossieraggio scoperti dalla magistratura. A partire dall’ultimo scandalo rivelato dall’inchiesta della procura di Milano sulla Banda di via Pattari.
“Se hanno hackerato il Cremlino…”
Nella sua spiegazione, il Guardasigilli, invece di chiarire perché è stato così facile per gli hacker bucare le banche dati in teoria impermeabili del Ministero degli interni, di Inps, della Guardia di Finanza ecc…, ha sottolineato che il fenomeno della criminalità informatica ha colpito chiunque, e quindi, non è il caso di stupirsi.
“Quello dell’hackeraggio è un sistema che purtroppo ha colpito e sta colpendo il mondo intero, è stato intercettato anche il Cremlino”, ha detto Nordio, “è stato hackerato praticamente tutto il sistema non dico europeo, ma di moltissimi Stati, proprio perché la tecnologia avanza a larghi passi e avanza più velocemente di quanto non avanzi la normazione da parte degli Stati, ed è un problema che noi cerchiamo adesso di risolvere, su questo c’è la mia assicurazione più completa sia a livello normativo che tecnologico”.
Ma non preoccupatevi, “presto riusciremo a controllarli”
Nel tentativo di rassicurare sull’impegno dell’esecutivo ha quindi aggiunto: “Noi abbiamo già istituito tutta una serie di agenzie e stiamo investendo tutta una serie di cifre molto, molto importanti per realizzare questa sicurezza. Arriverà un momento, e per noi è un momento molto vicino, in cui riusciremo a controllarli del tutto”. Meglio tardi che mai, insomma.
Nordio difende i limiti alle indagini: “Sono reati minori…”
Ma ieri Nordio ha approfittato del question time anche per tornare a difendere i limiti decisi dal governo Meloni all’uso delle intercettazioni e dei trojan per la magistratura nelle inchieste sui reati dei colletti bianchi, come finanziamento illecito, bancarotta fraudolenta, traffico di influenze ecc… E qui il ragionamento suona così: siccome la mafia non utilizza più i telefonini, ma mezzi più sofisticati, è inutile sprecare soldi per le intercettazioni telefoniche di “reati minori” (parole sue).
Meglio tagliarle e usare quei soldi per nuovi metodi di lotta alla criminalità organizzata più tecnologici. “Per quanto riguarda le riforme che abbiamo fatto e stiamo facendo sul trojan e sulla invasività delle intercettazioni”, ha spiegato, “sono volte a coniugare l’articolo 15 della Costituzione, che riguarda la riservatezza delle comunicazioni, con la necessità del combattere la delinquenza soprattutto quella criminalizzata, nel riaffermare ancora una volta che tutte queste riforme non riguardano la criminalità organizzata, non riguardano il terrorismo, non riguardano la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra”.
“La mafia non parla attraverso i telefonini”
“Queste criminalità organizzate oggi comunicano attraverso sistemi che noi non siamo in grado di intercettare, non sono quelli tradizionali”, ha continuato, “dissi una volta che la mafia non parla attraverso i telefonini, oggi di questo ne abbiamo la riprova: parla attraverso dei sistemi ultra-sofisticati che noi non siamo in grado di intercettare o saremmo in grado di intercettare a prezzi altissimi. Quindi la proposta era di trasferire quelle risorse che vengono impiegate per delle intercettazioni magari lunghe e costose, per reati minori che spesso si rivelano inutili, proprio per indirizzarle al fine di intercettare questi sistemi che ha la criminalità organizzata oggi per parlare tra di loro”.
Ma la realtà smonta le affermazioni del ministro
Un ragionamento, quello del ministro, smontato proprio dall’inchiesta milanese sulle cyber-spie, possibile solo grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali durate oltre due anni. Come del resto non sarebbe stata possibile l’indagine che ha portato agli arresti (e poi al patteggiamento) dell’ex governatore ligure Giovanni Toti se fossero state in vigore quelle norme sulla durata delle intercettazioni (limitate dal governo a 45 giorni), visto che è durata oltre tre anni. Almeno che non si considerino anche questi “reati minori”. Per i quali non vale la pena sprecare denaro pubblico.