I dati presentati ieri nel Report di Itinerari previdenziali sulla spesa pubblica e le dichiarazioni dei redditi 2022 dovrebbero indurre questo governo dai facili condoni a una qualche riflessione in più.
I contribuenti che in Italia dichiarano almeno 35mila euro sono circa 6,4 milioni, il 15,27% del totale, ma pagano il 63,4% delle imposte mentre quelli che dichiarano meno di 15mila sono poco meno di 17 milioni (il 40,35% del totale) e pagano l’1,29% dell’Irpef complessiva.
I titolari di redditi fino a 29mila euro sono il 75,80% degli italiani e pagano il 24,43% di tutta l’Irpef.
La fotografia del Paese sta tutta in queste scarne cifre: il 15,27% della popolazione paga il 63,39; mentre il restante 84,74% paga il 36,61%; oppure potremmo dire che il 46,81% paga il 93,69%, mentre il 40,35% dei contribuenti paga solo l’1,28% dell’intera Irpef.
E ancora. Emerge che il 45,16% degli italiani non ha redditi e di conseguenza vive a carico di qualcuno.
Cresce in un decennio la spesa per assistenza del 126% rispetto al 17% di quella previdenziale
È più che evidente – si legge nel report – che questa non può essere l’immagine di uno tra i 7 Paesi più sviluppati, tanto più se consideriamo una serie di spese che testificano che gli italiani non sono così poveri come si dichiarano.
Il report indica che nel 2022 l’Italia ha complessivamente destinato alla spesa per protezione sociale – pensioni, sanità e assistenza – 559,513 miliardi di euro, vale a dire oltre la metà di quella pubblica totale (il 51,65%).
Rispetto al 2012, e dunque nell’arco di un decennio, la spesa per il welfare è aumentata di 127,5 miliardi strutturali (+29,4%): un aumento ascrivibile soprattutto al capitolo “assistenza” che, si legge, “sotto la spinta delle promesse di una politica in perenne campagna elettorale e gonfiata anche dall’inefficienza di una macchina organizzativa tuttora priva di un’anagrafe centrale delle prestazioni, è cresciuta del 126,3%, a fronte del solo 17% della spesa previdenziale”.
Nel complesso, se per Inps e Inail si può parlare di equilibrio, vale a dire di un sistema pensionistico e assicurativo in grado di auto sostenersi con i contributi versati da lavoratori e imprese.
Lo stesso non può dirsi per l’assistenza (circa 157 miliardi di euro), sanità (intorno ai 131 miliardi l’importo della spesa) e welfare degli enti locali (circa 13 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono appunto essere sostenuti attingendo alla fiscalità generale.
Un totale – si spiega – di oltre 300 miliardi di euro per il quale sono occorse pressoché tutte le imposte dirette Irpef, addizionali, Ires, Irap e anche 23,77 miliardi di imposte indirette, in primis l’Iva.
Il 75,80% degli italiani dichiara redditi da zero fino a 29mila euro e paga solo il 24,43% dell’Irpef e calcolando che ogni dichiarante ha in carico 1,405 persone, l’imposta media versata per cittadino al netto delle detrazioni è stata di 101,73 euro, mentre per quello tra 15mila e 20mila euro (il 12,84% del totale) ammonta a 1.761 euro che scendono a 1.254 per singolo abitante.
Una fake news dire che l’Italia è il Paese oppresso dalle tasse: gravano solo su pochi
“Non è corretto – sottolinea il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla – descrivere l’Italia come un Paese oppresso dalle tasse, poiché i contribuenti su cui grava il carico fiscale e, di riflesso, anche il finanziamento del nostro sistema di protezione sociale non è che uno sparuto 24,20% di contribuenti con redditi dai 29mila euro in su, i quali da soli corrispondono il 75,57% di tutta l’Irpef”.
“Un grande parte di italiani – conclude – ne paga così poche o non ne paga affatto da risultare a carico della collettività. E’ il ritratto di un Paese con una forte redistribuzione principalmente a carico dei redditi sopra i 35mila euro lordi, che peraltro non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sgravi e agevolazioni, in assenza di controlli su una spesa assistenziale che cresce a tassi doppi rispetto a quella previdenziale”.