Il flop della contrattazione collettiva: scaduto il 52% degli accordi

L'Istat certifica il fallimento della contrattazione collettiva tanto cara al governo: più di un lavoratore su due senza rinnovo.

Il flop della contrattazione collettiva: scaduto il 52% degli accordi

Per settimane, se non mesi, la contrattazione collettiva è stata un mantra del governo. Utile per affossare la proposta di legge sul salario minimo, sostenendo che bisogna puntare tutto sulla contrattazione collettiva. L’hanno ripetuto in ogni modo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e la ministra del Lavoro, Marina Calderone, quando bisognava cancellare la proposta delle opposizioni dei 9 euro l’ora come minimo per ogni lavoratore.

E ora, come sempre, arrivano i dati a mostrare perché il loro era poco più di uno slogan. A certificarlo è l’Istat, spiegando che a fine settembre del 2024 sono ben 6,9 milioni i lavoratori dipendenti ancora in attesa del rinnovo del contratto. Ovvero il 52,5% del totale. Insomma, parliamo di uno strumento sempre in ritardo per più di un italiano su due.

Il flop della contrattazione collettiva

Il tempo medio di attesa, seppur in discesa rispetto all’anno precedente, si attesta a 18,3 mesi per i lavoratori con contratto scaduto e a 9,6 mesi per il totale dei dipendenti. A fine settembre, i 46 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 47,5% dei dipendenti, ovvero 6,2 milioni, e corrispondono al 45,8% del monte retributivo complessivo.

Come sottolinea l’istituto di statistica, la quota di lavoratori in attesa di rinnovo ha superato, nuovamente, il 50% in seguito alla scadenza degli accordi per i dipendenti delle costruzioni e della metalmeccanica. Sono stati invece otto, nel terzo trimestre, i contratti rinnovati: calzature, trasporti marittimi, alberghi, Rai, scuola privata laica, scuola privata religiosa, ceramiche, poste.

La magra consolazione sulle retribuzioni

Il rapporto dell’Istat fa emergere anche una piccola e parziale buona notizia. L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a settembre ha segnato un aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente e del 3,7% rispetto al settembre 2023. Briciole, verrebbe da dire, rispetto alla crescita dei salari negli altri Paesi europei. Ma va detto, quantomeno, che nel terzo trimestre del 2024 “la crescita delle retribuzioni contrattuali è risultata superiore a quella dei prezzi al consumo di poco più di due percentuali, proseguendo il graduale recupero del potere d’acquisto”, sottolinea l’Istat.

L’istituto di statistica evidenzia anche che nel periodo gennaio-settembre del 2024 la retribuzione oraria media è aumentata del 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2023. Come detto, parliamo di variazioni ben inferiori a quelle attese (come dimostra il mancato rinnovo di oltre metà dei contratti) e ben al di sotto di quelle registrate in quasi tutti i Paesi europei. La strada per recuperare il potere d’acquisto è ancora lunga e in salita.