Poteva andare peggio per il Movimento 5 Stelle? Difficile immaginare come. La disfatta nelle regionali liguri ha messo il sigillo a una crisi che si trascina da mesi, evidenziando una realtà amara: il 4,6% è un misero bottino, pari alla metà dei già scarsi risultati delle europee di giugno, e relega i 5 Stelle ai margini dello schieramento progressista. Intanto il Pd si afferma come prima alternativa concreta al centrodestra mentre il M5S, ormai superato da Alleanza Verdi Sinistra, fatica a trovare un’identità che lo renda incisivo. Per Giuseppe Conte si tratta di un colpo durissimo, mentre a Roma, serafico, presenziava alla presentazione di un libro di Piero Bevilacqua sul caos.
Così è inevitabile che oggi gli occhi siano puntati sull’accordo con Italia Viva e +Europa che secondo alcuni avrebbe potuto ribaltare i numeri. Conte ha imposto a Elly Schlein la chiusura a ogni intesa con i renziani nonostante l’apertura di Andrea Orlando per un’intesa più ampia. Ora quel distacco di appena 1,4% tra Marco Bucci, nuovo presidente della Liguria, e lo sconfitto Orlando diventa una montagna di speculazioni.
La disfatta ligure e l’isolamento di Conte
Nella crisi si staglia la figura di Beppe Grillo, fondatore e garante che per la terza volta consecutiva diserta le urne, lasciando che il Movimento si consumi sotto il peso delle sue liti interne e degli errori strategici. La sua assenza non passa inosservata ma il silenzio viene squarciato da una storia su WhatsApp in cui pubblica una frase lapidaria: “Si muore più traditi dalle pecore che sbranati dal lupo”. Parole che suonano come un chiaro attacco a Conte, un messaggio che trasuda la sua sfiducia verso un progetto che lui stesso ha creato e che ora vede sull’orlo del collasso.
Quella tra Conte e Grillo è ormai una guerra aperta, che ha avuto un punto di non ritorno quando l’ex premier ha deciso di non rinnovare il contratto di consulenza da 300mila euro che legava Grillo al Movimento per la comunicazione. Grillo vede il Movimento come un sogno infranto, lontano dagli ideali originari, e non risparmia parole di disprezzo per un progetto che considera ormai compromesso. Conte replica al veleno, sfidando Renzi e i suoi seguaci, sostenendo che aprire al leader di Italia Viva avrebbe solo eroso ulteriormente il consenso del M5S, una frecciata che esclude ogni possibilità di futuro accordo.
Dietro la disfatta ligure si cela un problema che va oltre il risultato di una singola elezione: il radicamento territoriale. Conte, con tono auto-giustificativo, parla di un “fallimento nella costruzione di un’identità locale solida”, un errore che il congresso rifondativo di novembre tenta ora di sanare. Ma per molti, tra cui Stefano Patuanelli e Riccardo Ricciardi, la situazione è più grave di quanto Conte voglia ammettere. La struttura del M5S è fragile, con i rappresentanti locali in costante diminuzione e la presenza politica sempre più esile. La lista presentata in Liguria era l’ombra di quella che nel 2015 aveva sfiorato il 22,3%, una percentuale ormai impensabile per un Movimento che non riempie più le piazze e non scalda più i social.
La frattura Grillo-Conte e il problema dei territori
E, sul piano politico, il vuoto creato dal M5S è tanto più evidente quanto più ci si avvicina alla fase costituente, che dovrebbe definire il futuro del Movimento. L’esito delle regionali è un presagio funesto per chi spera di vedere i 5 Stelle riprendersi e fungere da colonna portante di una nuova coalizione progressista. Con un fondatore assenteista e un leader che oggettivamente stenta a creare consenso, il futuro appare compromesso. La scelta di voler rifondare il partito, come spiega Conte, non sembra convincere una base elettorale delusa, né i quadri locali, ormai scettici su un progetto che sembra avere più legami con la memoria che con la prospettiva.
Nel frattempo, i renziani, in una dichiarazione al vetriolo di Maria Elena Boschi, non perdono l’occasione per attaccare Conte, sostenendo che un’alleanza con Italia Viva avrebbe garantito la vittoria del centrosinistra. L’ex premier risponde ancora una volta di petto, respingendo i calcoli matematici e difendendo la “credibilità” di un progetto che non vuole piegarsi ai giochi di potere. Ma la realtà, nuda e cruda, è che Conte appare isolato, senza sostegno, in un campo progressista che rischia di restare minoranza se le spaccature interne non verranno sanate.