Dopo aver decapitato Hamas ed Hezbollah e aver regolato i conti con l’Iran, ci si chiede quali siano le reali intenzioni di Benjamin Netanyahu in questo spaventoso conflitto mediorientale. Un dubbio legittimo, espresso anche dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, in una lettera “riservata” – subito trapelata sui media – indirizzata al primo ministro, in cui gli segnala che “la situazione in cui ci troviamo, senza una bussola che funzioni e senza un aggiornamento degli obiettivi della guerra, danneggia lo svolgimento della campagna e le decisioni del governo”, specie in un momento storico in cui i recenti “sviluppi significativi della guerra, in particolare lo scambio diretto di colpi tra Israele e Iran, aumentano la necessità di una discussione per aggiornare gli obiettivi con una visione complessiva di tutti gli scenari e il loro collegamento”.
In sintesi, secondo il ministro, Netanyahu non starebbe agendo in modo razionale, ma si lascerebbe guidare da una foga che rischia di destabilizzare l’area, aumentando le minacce alla sopravvivenza dello Stato ebraico anziché ridurle, rendendo inoltre “quasi impossibile la liberazione degli ostaggi”, per cui, a detta del titolare della Difesa, servirebbero “compromessi dolorosi”. Un’accusa pesante che evidenzia le frizioni tra Netanyahu e il suo ministro, le stesse che hanno generato voci su una possibile sostituzione di Gallant, a cui ha risposto molto duramente l’ufficio del primo ministro: “La lettera di Gallant è estremamente sconcertante. Esiste una bussola, ed è quella degli obiettivi di guerra stabiliti dal Gabinetto, che vengono costantemente verificati e sono stati persino ampliati”.
Netanyahu e Gallant ai ferri corti, il ministro attacca: “La guerra viene condotta senza strategia”. E Bibi risponde: “Parole false e inaccettabili”
Al momento, l’unica certezza è che Netanyahu intende continuare a combattere sia nella Striscia di Gaza sia in Libano. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, almeno 11 palestinesi – tra cui tre giornalisti – sono rimasti uccisi in un raid israeliano sul campo profughi di Shati, nel nord di Gaza, che ha colpito la scuola Asmaa, la quale ospitava sfollati. Bombe sono cadute anche sulla città di Tiro, nel sud del Libano, causando la morte di almeno cinque persone e ferendo gravemente altre dieci.
Di tutta risposta, Hezbollah ha lanciato circa 90 razzi verso il nord di Israele, uno dei quali ha superato lo scudo difensivo israeliano, provocando tre feriti a Tamra. Insomma, è il consueto racconto di una guerra raccapricciante, in cui la parola “pace” resta un tabù. Proprio nel tentativo di fermare i combattimenti, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha proposto una tregua di due giorni a Gaza, con la liberazione di un numero limitato di ostaggi, per rilanciare i negoziati e arrivare rapidamente a “un cessate il fuoco completo”.
Un’iniziativa accolta favorevolmente da un alto funzionario di Hamas, Husam Badran, che ha affermato: “Un accordo su queste basi è possibile. Le nostre richieste per la fine delle ostilità sono chiare e note, e un’intesa può essere raggiunta a condizione che Netanyahu rispetti quanto già concordato”. Tuttavia, il primo ministro israeliano sembra poco incline a collaborare: alcuni funzionari israeliani, sentiti dal quotidiano Ynet, hanno espresso scetticismo rispetto a progressi nei colloqui di pace. Secondo Ynet, Netanyahu non è disposto a ritirare completamente le truppe dalla Striscia per evitare di destabilizzare la sua coalizione di governo, a fronte dell’opposizione dei ministri dell’estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich.
Sale la tensione con l’Iran: “Israele la pagherà”
In tutto questo, non è ancora chiaro se l’Iran risponderà o meno all’attacco subito sabato scorso da Israele. Immediatamente dopo l’accaduto, da Teheran è emerso un tentativo di minimizzare la portata del raid di Tel Aviv, suggerendo l’intenzione di evitare una reazione. Tuttavia, in queste ore, l’entourage della Guida Suprema, Ali Khamenei, è tornato a minacciare Israele. Il comandante in capo del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, Hossein Salami, ha dichiarato che Israele dovrà affrontare “conseguenze amare e inimmaginabili” per l’attacco ai siti militari iraniani, definito “illegittimo e illegale”.
Dichiarazioni analoghe sono arrivate anche dal ministero degli Esteri iraniano, Esmaeil Baghaei, secondo cui “l’Iran userà tutti i mezzi disponibili per una risposta decisa” agli attacchi aerei israeliani di sabato scorso. Ancora più grave è che il presidente della Repubblica Islamica, Masoud Pezeshkian, considerato un moderato, ha spiegato che “l’Iran non cerca la guerra, ma darà una risposta adeguata all’attacco israeliano”, aggiungendo che “se le aggressioni del regime sionista e i suoi crimini continueranno, le tensioni si allargheranno”. Pezeshkian ha inoltre accusato gli Stati Uniti, rivelando che questi “avevano promesso di porre fine alla guerra in cambio di moderazione da parte dell’Iran, promessa che però non è stata mantenuta”.