Scuole bombardate, campi profughi colpiti dai missili e ospedali assediati: è la triste cronaca del conflitto in Medio Oriente, dove non passa giorno senza che si verifichi un “incidente”, come talvolta viene definito dall’esercito israeliano (Idf), in cui perdono la vita decine di civili.
Una situazione inaccettabile che solleva le proteste del mondo arabo e di una parte sempre crescente di Paesi occidentali nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale sembra ignorare il parere di tutti, perfino del suo alleato americano, preferendo continuare la propria crociata personale. Spaventoso il bilancio delle ultime 24 ore, durante le quali un raid dell’aviazione dello Stato ebraico ha colpito il campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, causando quello che la protezione civile di Gaza ha definito un “massacro di massa” con almeno 150 tra morti e feriti.
In Medio Oriente non c’è fine all’orrore. Un raid dell’aviazione di Netanyahu colpisce il campo profughi di Jabalia e causa almeno 150 tra morti e feriti
A ciò è seguito poco dopo un secondo bombardamento che ha preso di mira la città di Khan Younis, provocando la morte di 33 persone, tra cui 14 bambini. Come se non bastasse, ad aggiungere orrore su orrore è l’assedio delle forze armate israeliane all’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, nel nord di Gaza, dove risultano “intrappolate” quasi 200 persone, tra pazienti e personale sanitario. Non va meglio neanche in Libano, dove l’aviazione di Netanyahu ha pesantemente bombardato il valico di frontiera di Qaa, tra il Paese e la Siria, che, a causa degli ingenti danni subiti, è stato reso inutilizzabile.
A denunciare questo ulteriore atto brutale è stato il ministro dei trasporti libanese, il quale sottolinea come l’Idf stia rendendo impossibile l’evacuazione dei civili. Secondo Rula Amin, portavoce dell’Unhcr con sede ad Amman, non ci sarebbe stato alcun avvertimento prima dell’attacco. Una giornata orribile, in cui hanno perso la vita anche tre giornalisti che alloggiavano in una guesthouse a circa 50 chilometri a sud di Beirut, insieme ad altri reporter. L’Idf si è giustificato affermando che fossero “al soldo di Hezbollah”, tesi smentita dal ministro dell’Informazione libanese, il quale ha dichiarato che questo rappresenta “l’ennesimo crimine di guerra” da parte delle forze armate israeliane.
Alta tensione in Medio Oriente
Difficile dargli torto davanti ad attacchi insensati che, anziché diminuire, continuano ad aumentare mese dopo mese. Una lunga sequela di “incidenti” che non hanno risparmiato neanche le forze della missione Unifil dell’Onu, le quali hanno denunciato un ulteriore attacco subito il 22 ottobre scorso, quando soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro una delle loro postazioni vicino al villaggio di Dhayra, nel sud del Libano.
“I caschi blu in servizio presso un posto di osservazione permanente vicino a Dhayra stavano osservando i soldati dell’Idf che conducevano operazioni di sgombero delle case nelle vicinanze. Dopo essersi resi conto di essere osservati, i soldati hanno aperto il fuoco e le truppe Onu si sono ritirate per evitare di essere colpite”, si legge in una nota dell’Unifil. La situazione peggiora ora dopo ora, avvicinando il momento della resa dei conti tra Netanyahu e la Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei.
Da Tel Aviv fanno sapere che l’offensiva è pronta e potrebbe iniziare “da un momento all’altro”, mentre Teheran si starebbe preparando a entrare in guerra. Questo, almeno, è quanto riportato dal New York Times, che cita funzionari di Teheran anonimi in un articolo dove si legge che “l’Iran ha ordinato alle forze armate di essere pronte per la guerra ma anche di cercare di evitarla”. Secondo tali funzionari, l’Iran non esiterebbe ad attaccare se la rappresaglia israeliana causasse danni o vittime significative, ma potrebbe “trattenersi” se Israele limitasse gli attacchi a pochi siti militari e depositi di armi.
A Gaza si torna a sperare nei negoziati di pace
In questo scenario di guerra totale, a riaccendere la speranza è la notizia che Israele, su pressione del segretario di Stato americano Antony Blinken, si sarebbe dichiarato “disposto” a riaprire i negoziati per una tregua e per il rilascio degli ostaggi a Gaza. Il governo Netanyahu ha annunciato l’invio di una delegazione in Qatar per negoziare un accordo sulla Striscia di Gaza, e Hamas si è detto aperto a colloqui per porre fine al conflitto palestinese.
Difficile dire come andrà a finire, anche se dagli Stati Uniti filtra ottimismo: fonti dell’amministrazione Biden spiegano che, con l’uccisione del capo di Hamas, Yahya Sinwar, sarebbe stato rimosso il maggiore ostacolo alle trattative di pace.