Il trucco dei numeri: Gimbe svela l’illusione dei fondi sanitari del governo Meloni

Gimbe denuncia i fondi insufficienti per la sanità nella manovra: promesse gonfiate e tagli camuffati mettono in crisi il SSN.

Il trucco dei numeri: Gimbe svela l’illusione dei fondi sanitari del governo Meloni

La manovra finanziaria 2025 presentata dal governo Meloni ha ricevuto una dura analisi da parte della Fondazione Gimbe, che ha denunciato l’insufficienza delle risorse destinate alla sanità, evidenziando un “trucco dei numeri” che sembra illudere sulla reale entità degli investimenti. Secondo Gimbe, i fondi destinati al Fondo Sanitario Nazionale (FSN) risultano infatti “fuorvianti”: i 5,8 miliardi previsti per il 2026, i 5,7 per il 2027 e gli oltre 1,3 miliardi annunciati per il 2025 vengono cumulati, nascondendo il reale stanziamento annuale, che è in realtà molto inferiore rispetto alle promesse diffuse dall’Esecutivo.

Promesse e realtà: il trucco dei numeri spiegato da Gimbe

Il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta, ha evidenziato come l’incremento di 1,3 miliardi nel 2025 risulti del tutto inadeguato a coprire le necessità urgenti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), sottolineando che queste risorse sono principalmente assorbite dai rinnovi contrattuali del personale, non certo dagli investimenti strutturali di cui il SSN ha bisogno. La manovra, pertanto, lascia ben poche speranze sul fronte del rafforzamento delle strutture e del personale, con le risorse per le nuove assunzioni di medici e infermieri rinviate a un futuro non meglio precisato. L’aggiornamento delle tariffe per le prestazioni acute e post-acute, pur essendo un passo avanti, partirà solo nel 2026, così come le modeste risorse destinate ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ormai bloccati da quasi un decennio e che non sembrano poter cambiare marcia.

In questo quadro desolante, Gimbe non esita a porre le Regioni davanti a un vero e proprio bivio: queste, per rispettare gli obiettivi del governo, dovranno scegliere tra la riduzione dei servizi sanitari o l’aumento dell’addizionale IRPEF. Con un FSN vincolato a incrementi modesti, le Regioni si troveranno costrette a operare drastici tagli ai servizi, aumentando di fatto le disparità territoriali e il divario tra Nord e Sud. Le Regioni, già provate da bilanci in affanno, potrebbero vedersi obbligate a “tirare la coperta troppo corta” a scapito dei cittadini. Nel 2026, ad esempio, a fronte di un aumento del FSN di oltre 4 miliardi, sono previste misure per un totale di 2,3 miliardi che, senza adeguati finanziamenti, si tradurranno in obiettivi disattesi, alimentando un cortocircuito economico che vede ancora una volta penalizzato il settore sanitario.

Sanità regionale in crisi: le Regioni al bivio

La manovra include, inoltre, anche misure aggiuntive, come il fondo per le dipendenze comportamentali giovanili, il contrasto alle patologie derivanti da dipendenze, e l’incremento delle indennità per specifiche categorie sanitarie, come il personale di pronto soccorso e gli infermieri. Tuttavia, la Fondazione denuncia che questi interventi, per lo più operativi solo dal 2026, saranno esigibili in minima parte, lasciando scoperte le attuali esigenze dei cittadini e del personale sanitario. Cartabellotta parla di una “cosmesi sul FSN” che tradisce ampiamente i proclami dell’Esecutivo e descrive una politica che, ancora una volta, sottovaluta il tema cruciale della salute pubblica, lasciando il SSN in una situazione di precario equilibrio, laddove invece ci sarebbe bisogno di una vera e propria riforma strutturale. 

Gimbe conclude la sua analisi mettendo in evidenza quattro punti critici che risultano centrali per comprendere la reale portata della manovra finanziaria. Innanzitutto, sottolinea il modesto incremento del FSN nel 2025, con un reale aumento di appena 1,3 miliardi rispetto ai 3,5 miliardi annunciati: una cifra modesta che non risponde alle esigenze di un sistema sanitario già messo alla prova dalla pandemia e che continua a faticare per recuperare il terreno perso negli ultimi anni.

In secondo luogo, l’analisi rimarca come l’unico reale incremento di risorse sia previsto solo nel 2026, una decisione che appare paradossale e illogica, soprattutto alla luce delle necessità attuali, che vedono una sanità sempre più in affanno. Questo incremento, atteso per il 2026, non risponde a un piano di crescita programmata e sostenibile, ma appare come una mossa isolata in un contesto che manca di una visione a lungo termine.

Il terzo punto critico evidenziato riguarda la dispersione delle risorse in un numero eccessivo di micro-finanziamenti, senza una chiara strategia di rilancio per il SSN. Le risorse appaiono diluite in una serie di misure, che sebbene siano necessarie, non trovano un sostegno sufficiente e sembrano condannate a restare prive di un’efficacia concreta. In questo modo, il Governo sembra adottare una (non) strategia che, alla fine, finirà per mettere le Regioni davanti a un bivio: tagliare i servizi o aumentare le tasse locali, in un contesto già gravato dalle difficoltà economiche e sociali che ogni Regione vive. Si tratta di una scelta che, alla fine, ricadrà sulla pelle dei cittadini, che vedranno ancora una volta compromessi i propri diritti alla salute.

Infine, il quarto punto della Fondazione riguarda la mancanza di progressività nel finanziamento del SSN. Nonostante le numerose promesse, non si intravede alcun rilancio progressivo del finanziamento pubblico, che dopo la “fiammata” del 2026 torna a cifre da “manutenzione ordinaria” dell’era pre-pandemica. È evidente come la sanità pubblica sia oggi la vera emergenza del Paese, ma, come sottolineato dalla Gimbe, le scelte politiche sembrano seguire inesorabilmente la strada tracciata negli ultimi 15 anni: tutti i Governi che si sono succeduti hanno definanziato il SSN, senza che nessuno riuscisse ad attuare un piano di rilancio del finanziamento pubblico, che potesse accompagnarsi a una stagione di riforme coraggiose, indispensabili per ammodernare e riorganizzare la più grande opera pubblica del Paese.

Alla fine, conclude Gimbe, si tratta di un vero e proprio tradimento dei principi sanciti dall’art. 32 della Costituzione, che definisce la tutela della salute come un diritto fondamentale dell’individuo.