Il Partito Popolare Europeo (Ppe), che da sempre si dichiara baluardo della moderazione, sembra ora essersi abbandonato a un gioco pericoloso di equilibrio tra potere e compromessi. La sua discesa verso la destra sovranista non è un semplice cambio di rotta ma un tradimento delle proprie radici. I segni erano già visibili: un Ppe che gioca la parte del custode della stabilità, mentre siede sempre più vicino a coloro che negano i fondamenti della democrazia liberale.
L’ambigua alleanza del Ppe con i sovranisti
Manfred Weber, lo stratega che guida il più grande gruppo politico del Parlamento europeo, sta tessendo una trama che oscilla tra i fili sottili del pragmatismo e del cinismo politico. La recente alleanza con l’ECR, il gruppo guidato da Giorgia Meloni, ne è la manifestazione più esplicita. Un corteggiamento sottile ma fin troppo visibile: da una parte, il Ppe finge di sostenere la coalizione di Ursula von der Leyen, dall’altra si avvicina a coloro che mettono in discussione i valori stessi dell’Unione europea. Come non ricordare l’opposizione della stessa Meloni alla riconferma della presidente della commissione? Eppure, oggi, quel dissenso sembra evaporato nel calore di accordi e compromessi dietro le quinte.
È emblematico il caso di Raffaele Fitto, un tempo figura centrale del Ppe, ora divenuto alleato dei sovranisti italiani e polacchi. Nonostante le sue posizioni, l’ex ministro italiano è stato difeso con zelo dai popolari, come se le vecchie alleanze personali valessero più delle ideologie attuali. Il messaggio è chiaro: in nome della convenienza politica, il Ppe è disposto a difendere chiunque, anche chi ora rappresenta l’opposto di ciò che il partito affermava di essere.
Un bilancio che segna la svolta a destra
Ma il vero campanello d’allarme è suonato durante il voto sul bilancio dell’Ue. Qui, il Ppe ha rotto ogni vincolo con i suoi alleati centristi e ha scelto di sostenere emendamenti proposti dall’AfD, un partito che rappresenta una delle espressioni più viscerali dell’estrema destra in Europa. Le politiche migratorie che l’AfD promuove, con la costruzione di centri di deportazione e barriere ai confini, sono state accolte dai popolari senza esitazione. Un’operazione da anima venduta per una manciata di voti.
Un tempo bastione della democrazia cristiana e della moderazione europea, i popolari ora si ritrovano a ballare sul filo teso tra il centro e l’estrema destra, con il rischio di cadere rovinosamente da entrambi i lati. Le recenti parole di Auke Zijlstra, deputato del gruppo Patriots for Europe, che festeggiava apertamente la collaborazione con il Ppe, sono un simbolo del declino. Il cordone sanitario che un tempo isolava l’estrema destra è stato smantellato e il Ppe ha scelto di accogliere i suoi nuovi alleati estremisti a braccia aperte.
Tutto questo sotto lo sguardo preoccupato di figure come Donald Tusk, che vede il suo partito trascinato in un gioco politico di cui fatica a riconoscere le regole. E se Tusk rappresenta l’anima moderata del Ppe, Weber è l’uomo delle contraddizioni, capace di stringere alleanze con chiunque possa garantirgli un posto al tavolo del potere.
In questo scenario, si delinea un futuro incerto per il Ppe e per l’Europa stessa. Se un tempo i popolari potevano essere considerati un garante della stabilità, oggi il loro ruolo appare più ambiguo che mai. Weber potrebbe credere di poter controllare il fuoco che ha acceso, ma la realtà politica insegna che il vento del sovranismo brucia tutto ciò che incontra. E in questo braciere, il Ppe rischia di consumare la sua stessa natura.
Così mentre i sovranisti festeggiano e brindano, l’Europa osserva preoccupata. Imbellettare l’estrema destra per avere i numeri che servono per governare è il modo migliore per aprirle le porte. Qui a Roma ne sanno qualcosa.