Dopo decenni di unipolarismo, lo scoppio della guerra in Ucraina ha costretto il mondo a cercare nuovi equilibri. Può sembrare una frase fatta, ma è la realtà che emerge dalla contrapposizione sempre più evidente tra due blocchi: uno occidentale, capeggiato dagli Stati Uniti, e l’altro composto dai Paesi emergenti, guidato da Russia e Cina. Per uno strano scherzo del destino, le rispettive riunioni, il G7 e il vertice BRICS, si sono svolte letteralmente in contemporanea, affrontando temi simili.
Per quanto riguarda il summit dei sette Paesi più industrializzati al mondo, la dichiarazione finale condanna “con la massima fermezza possibile la guerra di aggressione illegale, ingiustificabile e non provocata della Russia contro l’Ucraina, che ha causato impatti devastanti per il popolo ucraino, comprese donne e ragazze, e sfollamenti di massa e gravi necessità umanitarie”.
L’Ucraina spacca in due il mondo e i Brics lanciano la sfida al G7
Un conflitto per il quale “ci impegniamo a sostenere il governo ucraino nel suo continuo sforzo per proteggere la salute del popolo ucraino”, hanno aggiunto i Paesi del G7 da Pescara, sottolineando “l’importanza dell’assistenza allo sviluppo e alla ricostruzione per la stabilità macrofinanziaria, le infrastrutture critiche, la crescita economica e la resilienza sociale dell’Ucraina, anche in vista del percorso di adesione del Paese all’UE”. Dall’altra parte del globo, precisamente a Kazan in Russia, ben 36 Paesi – tra cui quelli che rappresentano le economie emergenti – rendevano palese l’esistenza di questo scontro tra due blocchi.
A dirlo molto chiaramente è stato Vladimir Putin, secondo cui “il mondo è cambiato radicalmente” con l’affermazione di un nuovo ordine “multipolare”, in cui “i Paesi BRICS hanno un’influenza positiva nella sfera della stabilità e della sicurezza globali e danno un contributo significativo alla risoluzione di gravi problemi regionali”. “Questa è l’essenza della strategia dei BRICS nell’arena internazionale, che soddisfa le aspirazioni della parte principale della comunità internazionale, la cosiddetta maggioranza globale”, una parte che, prosegue lo zar, è stata “a lungo ignorata” dall’Occidente, mentre viene tenuta in grande considerazione dai BRICS, anche perché “sarebbe sbagliato ignorare l’interesse senza precedenti dei paesi del Sud e dell’Est del mondo verso i BRICS”, con “più di 30 stati che hanno già espresso questo desiderio in una forma o nell’altra”, e con 13 di questi già considerati idonei ad aggregarsi al progetto politico di Putin e Xi Jinping.
Al fronte si continua a combattere
Un mondo multipolare che deve cercare un suo equilibrio per evitare il caos, e che ha preso le mosse da quel conflitto in Ucraina, che continua da ormai tre anni con poche prospettive di conclusione. Un conflitto per cui Volodymyr Zelensky ha più volte favoleggiato nel suo ‘piano di vittoria’, accolto con scetticismo perfino dai suoi alleati e rigettato dal Cremlino. Secondo Yury Ushakov, ex ambasciatore negli USA e uno degli uomini più vicini al presidente russo, “il piano di pace proposto dal presidente ucraino parla da solo: non ci sono piani per negoziati”.
Proprio quelli che Ushakov starebbe conducendo dietro le quinte con l’amministrazione di Joe Biden, nel tentativo di trovare un punto d’incontro che metta fine al conflitto in Ucraina. Una guerra in cui l’esercito di Zelensky, a corto di uomini e soprattutto di munizioni, sembra prossimo al collasso, mentre i russi continuano ad avanzare, prendendo il controllo delle città di Serebrianka e Nikolaevka nella Repubblica di Donetsk.
A peggiorare la situazione c’è il supporto di Kim Jong-un a Putin, che avrebbe inviato altri 1500 soldati, in aggiunta ai 12.000 già pronti a servire lo zar. Un supporto militare per il quale, secondo quanto dichiarato all’Economist dal capo dell’intelligence militare di Kiev (GUR), Kyrylo Budanov, la Corea del Nord avrebbe ottenuto in cambio tecnologia per sviluppare armi nucleari tattiche e sistemi di lancio di missili sottomarini. Queste sono alcune delle ragioni per cui Zelensky ha nuovamente chiesto agli alleati di condannare “non solo a parole” le iniziative di Pyongyang, così da impedire che il Paese di Kim entri definitivamente in guerra contro l’Ucraina.