Inserire la Siria nell’elenco dei paesi sicuri. No, non è l’inizio di una barzelletta ma l’ultima trovata di Italia e Austria che vorrebbero riscrivere la geografia della sofferenza umana con la penna dell’ipocrisia. Secondo fonti Ue, il governo di Giorgia Meloni starebbe lavorando a stretto contatto con il premier austriaco per fare pressioni su Bruxelles chiedendo all’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, una verifica sull’esistenza di aree della Siria che possano essere considerate sicure per il rientro di alcune categorie di richiedenti asilo.
Facciamo un passo indietro: nel 2015, quando un milione di rifugiati siriani bussava alle porte dell’Europa, la Germania di Angela Merkel spalancava le braccia dicendo “Ce la possiamo fare”. Oggi, quasi dieci anni dopo, l’Italia di Giorgia Meloni e l’Austria di Karl Nehammer vorrebbero convincerci che quel paese, dove Assad ha usato armi chimiche contro il suo stesso popolo, sia improvvisamente diventato un resort a cinque stelle.
La realtà dei numeri non mente
Ma i numeri, si sa, sono testardi. Parliamo di 4,5 milioni di siriani fuggiti dal loro paese, un quinto della popolazione prebellica. Scappavano da una guerra civile che ha trasformato intere città in cimiteri a cielo aperto. E l’Europa, quella stessa Europa che oggi vorrebbe voltare loro le spalle, ha concesso protezione internazionale a 1,3 milioni di loro tra il 2015 e il 2023.
La realtà è che nel 2023 i siriani rimangono il gruppo più numeroso a chiedere protezione internazionale nell’UE. Più di 180.000 richieste solo l’anno scorso, con un incremento rispetto alle 130.000 dell’anno precedente. E il 90% di queste richieste viene accettato. Perché? Perché ogni singola autorità competente riconosce che rimandare queste persone in Siria significherebbe esporle a “un rischio sostanziale di danni gravi”.
Nehammer ha una prova inconfutabile della sicurezza siriana: 200.000 persone hanno attraversato il confine dal Libano alla Siria durante l’attuale crisi con Israele. Come se fuggire da una zona di guerra verso un’altra zona di guerra fosse la dimostrazione che la seconda è un paradiso terrestre. Per il premier austriaco cadere dalla padella alla brace significa che la brace era “sicura”.
L’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA) è cristallina: un paese sicuro è quello dove “la legge è applicata democraticamente e le circostanze politiche non portano generalmente e costantemente a persecuzioni, torture, trattamenti o punizioni disumani”. La Siria di Assad, quello stesso Assad che l’UE ha sanzionato per l’uso di armi chimiche e torture sui civili, non rientra neanche lontanamente in questa definizione.
L’EUAA, nell’aprile 2024, definisce il governo di Assad come “un attore principale della persecuzione e dei gravi danni nel paese”. In alcune aree, come il governatorato di Aleppo, la sola presenza di un civile costituisce “un rischio reale di gravi danni”. Ma evidentemente per alcuni leader europei questi sono dettagli trascurabili.
L’ipocrisia europea al servizio della convenienza politica
La verità è che la proposta di “paese sicuro” è l’ennesimo tentativo di mascherare il fallimento delle politiche migratorie europee dietro una facciata di presunta legalità. È come dire a qualcuno che sta annegando che l’acqua non è poi così profonda.
E mentre i politici giocano con le definizioni, ci sono siriani in Europa che lavorano, studiano, contribuiscono alle nostre società. Persone che, come ricorda Eva Singer del Consiglio danese dei rifugiati, “vengono costantemente ricordate che potrebbero non essere autorizzate a rimanere qui”.
La Danimarca ci ha già provato dal 2019, sostenendo che Damasco fosse sicura. Risultato? Nessun siriano è stato deportato. Perché anche i tribunali sanno che la realtà non si può piegare alla convenienza politica.
L’ipocrisia ha le gambe corte, dice il proverbio. Ma evidentemente cammina abbastanza veloce da raggiungere i palazzi del potere europeo. La Commissione europea continua a ricordare che metà della popolazione siriana è sfollata e i bisogni umanitari sono ai massimi storici ma per alcuni governi, evidentemente, questi sono solo dettagli che intralciano la narrazione.
La verità è che non esistono scorciatoie nella gestione dei rifugiati.