Dal Silos alle strade, Trieste emblema del fallimento sui migranti

Lo sgombero del Silos ha solo spostato il problema: Trieste si ritrova con le strade colme di migranti abbandonati da uno Stato assente

Dal Silos alle strade, Trieste emblema del fallimento sui migranti

Per comprendere il fallimento totale della propaganda basta fare un salto a Trieste. Lì il Silos, un tempo rifugio precario per chi attraversava il buio della rotta balcanica, oggi è solo un moncone recintato. Sgombrato in poche ore, il 21 giugno 2024, dalle forze dell’ordine. E come in uno dei più tragici paradossi italiani a un edificio vuoto corrispondono strade colme di umanità alla deriva. A tre mesi dalla chiusura, Trieste è diventata il simbolo di un fallimento annunciato, una città trasformata in bivacco per migranti che dormono all’aperto, dimenticati da uno Stato che li ha trasformati in un problema da spostare altrove.

Il rapporto “Silos Vuoto, Strade Piene” è la cronaca dei danni della propaganda. A Trieste ogni notte centinaia di persone si riparano sotto i portici della stazione, come ombre che infestano le mura. Secondo i dati del report nei tre mesi successivi allo sgombero più di 5.000 persone sono transitate per la città. Migranti in viaggio, migranti in attesa, migranti lasciati al freddo e alla pioggia, come se la chiusura di quel vecchio edificio avesse potuto cancellare la loro esistenza. Invece l’umanità s’è sparpagliata, ancora più disperata. 

E allora eccoli lì, gli “invisibili” del Silos, ammassati in Piazza Libertà. Un uomo siriano, piegato dalla fatica e dalla disperazione, si racconta così: “Siamo fantasmi. Nessuno ci vede, nessuno ci aiuta”. Eppure sono lì, ogni sera, con il corpo segnato dal freddo e dalla pioggia, bambini infreddoliti e respinti . “Il mio bambino ha la febbre”, dice un padre curdo, “non so più cosa fare. Camminiamo, ci spostiamo, ma non ci accolgono. Il Silos era una speranza, ora non c’è più nulla”. 

Silos vuoto, promesse mancate

Lo sgombero del Silos avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni, una soluzione. È il culto dello sgombero propagandato come risolutorio. La realtà è un’altra: chiudere quel rifugio di fortuna ha solo spostato il problema. Era stato promesso l’ampliamento dell’Ostello di Campo Sacro, l’installazione di moduli abitativi per aumentare la capacità di accoglienza. Parole. Perché i posti restano insufficienti, e i lavori si trascinano. Nel frattempo, Piazza Libertà si anima ogni sera come un teatro di disperazione, tra volontari che distribuiscono cibo e vestiti e bambini che dormono sui marciapiedi. 

La retorica del governo Meloni sul “controllo delle frontiere” si scontra contro la cruda realtà di Trieste. Un sistema che espelle, rimuove, e per precisa scelta politica non accoglie. Ogni promessa è un vuoto che si allarga. Mentre Frontex parla di un calo del 77% dei flussi migratori lungo la rotta balcanica i numeri reali dicono altro: solo nei primi otto mesi del 2024, sono arrivati 8.686 migranti a Trieste, quasi 150 persone a settimana. Nonostante i proclami di sicurezza, la gente continua a camminare, disperata, verso un’Europa che si blinda.  

Trieste, specchio di un fallimento nazionale

Ecco il grande tradimento: il Silos vuoto e le strade piene sono la fotografia perfetta del Paese. Trieste non è un caso isolato ma un simbolo della mancanza di una politica di accoglienza efficace in Italia. Il sistema di accoglienza straordinaria (Cas) è saturo, e le strutture di bassa soglia, come i dormitori, non sono sufficienti a coprire i bisogni immediati.

Un uomo siriano che, dopo aver perso la sua famiglia durante il viaggio, si è trovato a dormire all’aperto per settimane, senza un pasto caldo né la possibilità di lavarsi. “Siamo esseri umani, ma qui ci trattano come fantasmi”, dice. “La sera, quando la città dorme, noi ci rifugiamo nei pochi angoli che troviamo. Nessuno ci vede, nessuno ci aiuta”. Lui non lo sa ma è il nemico perfetto per la propaganda.