Mentre il governo Meloni costruisce la sua narrazione sulla difesa della “famiglia tradizionale” e sulla necessità di stimolare la natalità e mentre la ministra della Famiglia Eugenia Roccella si occupa di gravidanza per altri c’è un aspetto che sembra sfuggire dal dibattito pubblico: i figli che ci sono già. E stanno male. L’Italia, come confermano i dati di Openpolis, vede un preoccupante aumento della povertà assoluta tra i bambini e i ragazzi delle famiglie svantaggiate. Tra il 2021 e il 2022, la percentuale di minori in povertà assoluta è passata dal 12,1% al 14,3%, un salto allarmante che significa oltre 1 milione e 400mila bambini che vivono in condizioni di estrema difficoltà.
Un esercito di bambini poveri ignorato dal governo
Mentre si discute di come incentivare nuove nascite nessuno sembra accorgersi che c’è un esercito di bambini già nati che vive in povertà. Le famiglie in condizioni di povertà assoluta sono aumentate da 1,9 milioni nel 2021 a 2 milioni nel 2022. E questi numeri, nonostante i proclami governativi, non fanno che crescere. Nel Mezzogiorno, la situazione è ancora più drammatica: la povertà minorile tocca il 16,1%, più del doppio rispetto al Nord, dove si ferma al 7,2%. Sono cifre che raccontano di un’Italia divisa, non solo tra ricchi e poveri, ma anche tra Nord e Sud, tra chi può dare un futuro ai propri figli e chi lotta per sopravvivere.
Gli effetti della povertà assoluta sui bambini sono devastanti. Non si tratta solo di difficoltà economiche, ma di una condizione che condanna i minori a un futuro di esclusione sociale e di marginalizzazione. La povertà ha conseguenze a lungo termine che si ripercuotono sull’intero ciclo di vita: basti pensare all’alto tasso di abbandono scolastico, che nel 2022 si attestava al 12,7%, con picchi preoccupanti proprio nelle regioni del Sud. Un dato che non lascia spazio a interpretazioni benevole: più povertà significa meno istruzione, e meno istruzione significa un futuro segnato dall’impossibilità di riscatto.
Interventi insufficienti: l’Assegno Unico e la precarietà dei lavoratori
Il problema non si risolve con interventi superficiali né con i proclami. L’Assegno Unico Universale, introdotto nel 2022, non ha avuto l’impatto sperato. Nonostante l’assegno abbia raggiunto molte famiglie la povertà assoluta continua a crescere. Questo suggerisce che i problemi sono più complessi di quanto il governo voglia ammettere, e che non possono essere affrontati solo con trasferimenti monetari. I costi della vita in aumento, la disoccupazione e la carenza di servizi di base nelle aree più svantaggiate del Paese richiedono politiche strutturali.
Anche la condizione professionale dei genitori incide enormemente sulla povertà minorile. Se la persona di riferimento svolge un lavoro da dirigente, quadro o impiegato, la povertà familiare dei nuclei con bambini e ragazzi è del 3,7%. Sale al 19,4% se è operaio e al 23,9% quando è in cerca di occupazione.
Tra il 2022 e il 2023 va sottolineato il peggioramento nella condizione delle famiglie con figli la cui persona di riferimento fa l’operaio. In questi casi l’incidenza passa dal 15,6% al 19,4%. Un peggioramento che testimonia una condizione di vulnerabilità per i nuclei di lavoratori dipendenti in mansioni esecutive; specialmente quando possono contare su un solo reddito e quindi a maggior rischio di finire nell’esclusione sociale in caso di perdita del lavoro.
Mentre il governo si preoccupa di definire chi può essere considerato “famiglia sta perdendo di vista il punto centrale: le famiglie reali, quelle che faticano ogni giorno, non hanno bisogno di nuove definizioni. Hanno bisogno di sostegno concreto, di politiche che le aiutino a uscire dalla povertà, a garantire ai propri figli un futuro. Ma finché la priorità resterà la retorica ideologica, la povertà dei bambini italiani continuerà ad aumentare, silenziosa e inesorabile.