Raffaele Fitto, prossimo commissario europeo fortemente voluto da Ursula von der Leyen fino a qualche giorno fa era ministro di un governo che negli ultimi giorni ha messo in fila azioni che vanno ripassate. Fitto era ministro di un governo che ha riunito i suoi ministri per scontare una forzatura contro il diritto europeo (nonché contro i trattati internazionali) per rivendicare di essere al di sopra delle leggi. Fitto era ministro di un governo che per bocca del suo ministro della Giustizia Carlo Nordio rivela di voler studiare un nuovo assetto costituzionale che assoggetti il potere giudiziario al potere politico alla stregua dei peggiori stati illiberali che mai verrebbero accettati nell’Unione europea.
Fitto era ministro in un governo con un vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, che esulta per la morte di uno straniero ammazzato dalle forze dell’ordine e che animalizza i migranti per tornaconto elettorale (“cani e porci”, li chiama). Fitto era ministro di una presidente del Consiglio che da quando è al governo ha attaccato ripetutamente magistrati, giornalisti, intellettuali, organizzazioni umanitarie e organi dello Stato. La domanda a questo punto è semplice: come si può votare un commissario ex ministro di un governo così? Come possono il Pse e i Verdi – perfino il Ppe – ingoiare un boccone di questo tipo? Ma soprattutto com’è possibile dare fiducia alla presidente della Commissione, von der Leyen, a braccetto con Giorgia Meloni nella malsana idea dei centri in Albania come modello di gestione dell’immigrazione nell’Unione europea? Ci sarà un limite entro cui fermarsi? E se non è questo cos’altro manca all’abisso?