Con la manovra, il governo ha annunciato l’innalzamento al 42% della tassa sulle plusvalenze dei bitcoin. Francesco Casarella, fondatore di Colazione a Wall Street, cosa vuol dire e cos’è questa tassa?
“Significa che per i guadagni superiori ai 2.000 Euro, a partire dal 2025, la tassazione salirà dal 26% (aliquota oggi in vigore) al 42%. A detta del Governo, nasce come una delle tante modalità di “finanziamento” per reperire capitali utili alla nuova manovra finanziaria da circa 30 miliardi approvata nell’ultimo Consiglio dei ministri”.
Questa tassazione sulle criptovalute è un unicum nel mondo o anche in altri Paesi si applicano misure come questa?
“Oggi l’aliquota media in Europa è intorno al 15-16%, quindi ciò porterebbe l’Italia ad essere il Paese europeo maggiormente penalizzante su questa tematica, e certamente tra i primi posti anche a livello globale”.
Qual è il suo giudizio su questa maxi-tassa?
“La ritengo poco efficace per tutta una serie di motivi, primo su tutti il fatto che entro il 2024 i possessori di criptovalute potrebbero decidere di vendere le attività e spostarsi su altre tipologie di prodotti (rendendo quindi inefficace la tassazione). Oltre a ciò, i grandi capitali potrebbero (avendone la facoltà) spostare i capitali fuori dal nostro paese, e soprattutto si andrebbe a danneggiare da un lato l’indotto dell’industria cripto in Italia, con tutte le conseguenze del caso (chiusura di aziende, perdita di posti di lavoro e di valore economico), ma si fornisce anche un messaggio specifico, ovvero tutto ciò che è innovativo da noi fatica a trovare spazio”.
Quali possono essere gli effetti concreti per chi detiene criptovalute e in generale le conseguenze su questo mercato?
“Considerato che l’importo medio investito viaggia tra i 1000 e 2000 euro, l’impatto sarebbe poco rilevante (e di conseguenza l’incasso da parte dello Stato). Più rilevanti le conseguenze e l’approccio agli investimenti, cruciali per il nostro paese ma anche degli operatori esteri, in merito alla tipologia di messaggio che passa da questa manovra. In ogni caso come detto, oltre a poter spostarsi verso altre forme di investimento (rendendo inefficace la manovra), il grande rischio è un aumento della mancata dichiarazione, poichè resterebbe vivo il pericolo di una sorta di “moral Hazard” (io non dichiaro, al massimo pago la multa, visto che comunque pagherei il 42%), che è ciò che bisogna evitare soprattutto con questa tipologia di asset class”.
L’impressione è che la misura serva per reperire altre risorse per la manovra. Ma c’è il rischio che diventi un disincentivo verso questo strumento?
“Sicuramente sì, con gli investitori che potrebbero (nel caso migliore) spostarsi verso altri strumenti meno tassati, nel caso peggiore, lasciando i soldi fermi ed inoperosi sui conti o sotto il materasso, ma l’inflazione è implacabile in questi casi ed erode questi risparmi nel tempo”.
Secondo lei il governo ragiona in un’ottica “punitiva” verso uno strumento forse non compreso a pieno?
“Non credo sia una logica punitiva, quanto più di non approfondita conoscenza del settore, e più in generale delle dinamiche che governano i mercati e gli investimenti. Auspico un confronto con gli attori del settore affinchè si possa aprire un tavolo di discussione e rivalutare soluzioni più ottimali”.