Dopo mesi di guerra in Medio Oriente, appare difficile comprendere quale sia la reale situazione dei civili. A fare chiarezza, smentendo Benjamin Netanyahu, che continua a ripetere che l’esercito israeliano sta facendo di tutto per salvaguardare le popolazioni dell’area e che la situazione non è poi così grave, è il vice direttore generale dell’UNICEF, Ted Chaiban. “Mi unisco a voi non solo come rappresentante dell’UNICEF, ma come testimone della catastrofe umanitaria in corso in Libano”, ha esordito Chaiban.
All’inizio di questa settimana, “Carl Skau (vicedirettore del Programma Alimentare Mondiale, PAM) e io abbiamo incontrato famiglie che hanno perso tutto” e “abbiamo visto il vero terrore al checkpoint di Masnaa, dove centinaia di migliaia di persone hanno attraversato il confine verso la Siria dal 23 settembre, un movimento che, per la sua portata, complica la già difficile crisi umanitaria in Siria. Si tratta di civili inermi che fuggono da una devastazione solo per andare incontro a un futuro incerto”.
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Come raccontato dal vice direttore generale dell’UNICEF: “Circa 1,2 milioni di persone – uomini, donne e bambini – sono stati sfollati a causa dell’escalation del conflitto, tra cui circa 400.000 bambini. Quasi 190.000 di coloro che sono stati costretti a lasciare le loro case si trovano ora in rifugi di fortuna nella speranza di trovare una parvenza di sicurezza, per lo più scuole pubbliche, mentre innumerevoli altri cercano rifugio presso chiunque possa offrire un tetto e un posto dove riposare. Alcuni non hanno altra scelta che la spiaggia o la strada”. Ad aggravare il tutto c’è “il tributo psicologico, che è immenso, soprattutto per i più giovani”, con “bambini che sono alle prese con incubi di bombardamenti, perdita di persone care e distruzione delle loro case e scuole”.
Una situazione che non si fa fatica a descrivere come “catastrofica” e a cui stanno cercando di far fronte il PAM e l’UNICEF, che “stanno lavorando instancabilmente per soddisfare i bisogni immediati”.
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Le squadre guidate da Chaiban, assicura, “stanno lavorando 24 ore su 24 per soddisfare le esigenze dei bambini da ogni punto di vista: dal garantire il flusso di acqua sicura, al rifornire i rifugi con kit igienici, sapone e shampoo; dal collegare gli sfollati ai servizi di assistenza sanitaria primaria, al rispondere ai problemi di salute mentale dei bambini attraverso attività di gioco e di sostegno psicosociale; dal rintracciare le famiglie per riunire i bambini smarriti, alla consegna di 167 tonnellate di materiale medico per aiutare le donne incinte e i bambini feriti a ricevere le cure di cui hanno bisogno, fino all’organizzazione di convogli di aiuti che raggiungono le aree più difficili con forniture essenziali per ogni bambino”.
Uno sforzo titanico che, però, non è che una goccia nel mare, visto che il vice direttore generale dell’UNICEF ammette amaramente che “la portata di questa crisi richiede molto di più”. Sempre Chaiban spiega che “è imperativo che tutte le parti in conflitto aderiscano al diritto internazionale umanitario e rispettino i principi di proporzionalità, distinzione e precauzione nella condotta delle ostilità”. Inoltre, “devono garantire il rispetto e la protezione di tutto il personale medico, nonché proteggere le strutture civili che forniscono servizi essenziali e infrastrutture cruciali come acqua, servizi igienici, strade, ponti o impianti elettrici”.
Ma il tempo corre e le risorse scarseggiano, per questo chiede “alla comunità internazionale di agire con urgenza: i finanziamenti sono fondamentali, l’appello dell’UNICEF è finanziato all’8% in questo momento. I finanziamenti devono essere liberi da condizionalità che impediscono un’azione rapida. Dobbiamo mantenere aperti i porti e le rotte di rifornimento, assicurando che l’assistenza umanitaria raggiunga coloro che barcollano sull’orlo della disperazione” così da evitare un disastro che segnerà una delle pagine più nere della storia umana.