Stai a vedere che il (quasi) ultimatum di Joe Biden, che ha minacciato di fermare l’invio di armi a Israele nel caso in cui non fossero riprese le consegne di cibo e aiuti umanitari nella Striscia di Gaza entro fine mese, sia riuscito a ottenere più di quanto si pensasse. Certo, è sempre troppo poco, ma a nemmeno 48 ore dalla lettera inviata dagli Usa all’amministrazione israeliana di Benjamin Netanyahu, qualcosa ha iniziato a smuoversi.
Dopo due settimane di “blocco totale” dei beni di prima necessità, gli aiuti umanitari sono miracolosamente arrivati nel nord di Gaza con 145 camion contenenti cibo, prodotti per l’igiene, latte in polvere per neonati e attrezzature per i rifugi. Si tratta di un risultato interessante, perché dimostra come una politica più decisa, anziché quella imbarazzata e accondiscendente fin qui portata avanti dagli Stati Uniti e dall’Unione europea nei confronti di Netanyahu, possa portare a risultati tangibili.
L’ultimatum di Biden convince Netanyahu: dopo due settimane tornano gli aiuti umanitari a Gaza
Che la situazione si sia sbloccata proprio per l’aut aut degli Usa lo si capisce dalle dichiarazioni di Amichai Chikli, ministro israeliano per gli Affari della diaspora e membro del partito Likud del premier Netanyahu. Alla radio pubblica di Tel Aviv, Chikli ha attaccato “questa politica dell’amministrazione Biden di esercitare una pressione massiccia sulla questione umanitaria, che è sbagliata e alla fine ci costringerà a prolungare i combattimenti. Gli aiuti umanitari, in molti casi, finiscono nelle mani sbagliate. Inoltre, la pratica che consente ai civili di spostarsi in aree sicure è conforme al diritto internazionale”.
Lo stesso, evidentemente rammaricato, ha poi aggiunto che “purtroppo, sembra che ci siano in gioco anche considerazioni interne americane”, insinuando che la posizione di Biden non sia tanto a vantaggio dei civili inermi, che stanno pagando un prezzo carissimo con oltre 42.000 vittime dall’inizio del conflitto, quanto dettata da necessità elettorali.
Tel Aviv polemizza con Biden
Certo, finché la comunità internazionale continuerà ad avere posizioni morbide, arrivare al cessate il fuoco in Libano e nella Striscia di Gaza appare mera utopia. Del resto, sul campo di battaglia le cose procedono come nulla fosse, con l’aviazione di Tel Aviv che, dopo giorni di calma relativa, ha ripreso i raid sul quartiere roccaforte di Hezbollah di Dahieh, a Beirut. Bombardamenti che avrebbero preso di mira un deposito di armi sotterraneo di Hezbollah, ma che, secondo le autorità locali, hanno colpito soltanto inermi civili.
Che il conflitto sia lontano dall’esaurirsi lo si capisce dal resoconto sulle attività nel sud del Libano, con l’esercito israeliano (Idf) che sostiene di aver colpito oltre 140 obiettivi legati ad Hezbollah in appena 24 ore. Raid che non hanno risparmiato nemmeno la Striscia di Gaza, dove l’Idf ha colpito un ambulatorio dell’Unrwa nella zona di Jabaliya, sostenendo che la struttura era usata da Hamas come magazzino per armi. In risposta, Hezbollah ha lanciato circa 50 razzi verso Safed, città della regione della Galilea, che sarebbero stati in larga misura intercettati. Tuttavia, secondo il comune cittadino, un missile sarebbe caduto nel cortile di un’abitazione, provocando lievi danni ma, fortunatamente, nessun ferito.
Verso l’escalation con l’Iran
Come se non bastasse, la CNN rivela che il piano di Israele per rispondere all’attacco iraniano del primo ottobre è pronto e, da quanto riferisce la rete tv americana, Netanyahu e il suo governo avrebbero assicurato agli Usa che un contrattacco contro l’Iran sarà limitato a obiettivi militari, tra cui basi e lanciatori missilistici, e non prenderà di mira impianti petroliferi o nucleari. Una rappresaglia che potrebbe arrivare da un momento all’altro, alla quale Teheran minaccia una contro-risposta. Infatti, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha avvertito il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che “l’Iran è pienamente pronto a dare una risposta decisa e deplorevole a qualsiasi avventurismo di Israele”.
Dis-Unione europea
Proprio l’Onu è finito da giorni nel mirino di Israele, con il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, che ha spiegato come le postazioni Unifil nel sud del Libano “sono state attaccate almeno venti volte dal primo ottobre e cinque soldati sono rimasti feriti”, azioni che “possono costituire un crimine di guerra”.
Gli attacchi alle basi Unifil, gestite dall’Italia, hanno fatto infuriare il presidente francese Emmanuel Macron, che ha ricordato a Netanyahu che “non deve dimenticare che il suo Paese è stato creato da una decisione dell’Onu. Pertanto, non deve sottrarsi alle decisioni dell’Onu”, minacciando anche lo stop all’invio di armi a Israele. Ma se la Francia appare decisa, a rompere il fronte europeo è il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha ribadito: “Ci sono consegne di armi a Israele e ce ne saranno in futuro. Su questo Israele può fare affidamento”.