Una puntata da 700 milioni di euro di soldi pubblici sulla ruota dell’Albania. Così, nel giorno dell’inaugurazione dei famigerati centri rimpatri italiani in terra straniera, il governo Meloni sfida la sentenza della Corte Ue che rischia di trasformare il fantomatico piano per la difesa dei confini nazionali nell’ennesimo flop sovranista. Il 4 ottobre i 15 giudici del Lussemburgo, come ha scritto Giulio Cavalli venerdì scorso su La Notizia, hanno stabilito che per essere considerato “sicuro”, un Paese deve esserlo in ogni sua parte e per qualsiasi categoria di persone, senza eccezioni.
Una decisione che rischia di stroncare sul nascere l’operazione Albania messa in moto, insieme alla macchina della propaganda, da Meloni & C. Stando alle conclusioni della Corte Ue, in altre parole, per poter sottoporre un richiedente asilo alle procedure accelerate, è necessario che la persona provenga da un Paese sicuro. Un problema difficilmente superabile, diritto e sentenze alla mano, per il nostro governo dal momento che 15 dei 22 Paesi considerati “sicuri” dall’Italia – e che ricomprendono peraltro le Nazioni di provenienza della maggior parte dei migranti diretti sulle nostre coste e che ora si vorrebbero dirottare in Albania – non soddisferebbero le condizioni dettate dai giudici Ue.
Un ostacolo con il quale Meloni, che nel giorno dell’inaugurazione in pompa magna dei centri albanesi si è ben guardata dal citare la sentenza della Corte europea tra una frecciata e l’altra indirizzata via Social alle ong, potrebbe trovarsi a fare i conti già nei prossimi giorni. Anche nei centri albanesi, infatti, i giudici italiani dovranno convalidare entro 48 ore il trattenimento dei richiedenti asilo ai fini delle procedure in frontiera. E difficilmente potranno evitare di tener conto della recente sentenza della Corte europea. Un rischio che evidentemente il governo Meloni ha già messo in conto. E se le sentenze dovessero dargli torto potrà sempre scaricare l’eventuale flop albanese da 700 milioni di euro sulle solite toghe rosse.