La povertà aumenta e la cancellazione del Reddito di cittadinanza mette a rischio i più vulnerabili. A dirlo non è l’opposizione, ma è lo stesso Cnel che nega il salario minimo, principale alleato del governo Meloni nella battaglia contro paghe dignitose. Non di certo un nemico dell’esecutivo, ma che dice chiaramente – nella relazione sui servizi pubblici 2024 presentata anche dal presidente Renato Brunetta – che “la povertà assoluta delle famiglie risulta in costante crescita, dal 6,2% nel 2014 all’8,5% del 2023, il che costituisce il principale indicatore di disuguaglianza sociale”.
Una riduzione si è registrata nel 2019, con l’introduzione del Reddito di cittadinanza, ma si è fermata tra pandemia e inflazione. Il problema della povertà assoluta riguarda soprattutto le famiglie numerose (20,3%) e le famiglie di stranieri (35,6%). E il superamento del Reddito di cittadinanza, sostituito con l’Assegno di inclusione dal governo Meloni, è stato un ulteriore colpo alle famiglie italiane.
L’Assegno di inclusione mette a rischio i più vulnerabili
Infatti la transizione all’Adi, insieme al Supporto per la formazione e il lavoro, evidenzia “la continua tensione tra politiche universalistiche e approcci categoriali”. Per il Cnel, in particolare, l’Assegno di inclusione “pone questioni rilevanti sulla capacità del sistema di welfare di fornire un supporto adeguato a tutti i cittadini, specie ai gruppi più vulnerabili come i cosiddetti ‘occupabili’ e le persone senza dimora”.
Dai trasporti alla sanità, gli altri fronti aperti dal Cnel
Ma il rapporto del Cnel non pone ombre solo sulle misure di contrasto alla povertà, anzi. Un passaggio riguarda i trasporti e la rete metropolitana che in Italia è concentrata in sette città e, complessivamente, ha un’estensione inferiore a quella della sola Madrid. Nella relazione sui servizi pubblici si segnala la necessità di “ampliare la rete”, anche per ridurre gli spostamenti con automobile, oggi al 66,3% di quelli giornalieri, a fronte di un solo 7,4% con mezzi pubblici.
L’altro capitolo critico è quello della sanità, in cui la spesa pubblica è del 75,6%, “tra le più basse d’Europa”. Invece la spesa privata continua a crescere e nel 2022 ha toccato i 40,2 miliardi, in salita del 5%. Cresce anche la rinuncia alle cure per problemi economici o per liste d’attesa insostenibili: nel 2023 sono state 4,5 milioni le persone che hanno rinunciato per questi motivi a visite mediche e accertamenti sanitari. Una percentuale del 7,6%, in salita rispetto al 7% del 2022 o al 6,3% del 2019. Inoltre, la relazione segnala la riduzione dei medici di famiglia: in dieci anni sono diminuiti di oltre 6mila unità e ben il 47,7% dei medici di base ha più di 1.500 assistiti, ovvero il limite massimo consentito.